1. La riscossione degli oneri condominiali: gli obblighi a carico dell’amministratore.
L’amministratore, tra le altre incombenze affidategli dall’art. 1130 c.c., deve riscuotere i contributi (ed erogare le spese) occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell'edificio e per l'esercizio dei servizi comuni; tale obbligo trova ulteriore specificazione nell’art. 1129, comma 9, c.c., il quale dispone che, salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, egli è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, comma 1, disp. att. c.c. (norma che conferisce allo stesso, senza la necessità della previa autorizzazione assembleare, la possibilità di ottenere la concessione, nei confronti del condomino inadempiente, di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo).
Promossa l'azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, “l'aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva” rappresenta una di quelle situazione di grave irregolarità, tipizzate dal successivo comma 12 del medesimo art. 1129 c.c. (cfr., in specie, il n. 6) e legittimante la revoca giudiziale dell'amministratore; a quella che precede va inoltre affiancata - per sostanziale identità di ratio - l’ipotesi contemplata dal precedente n. 5 del medesimo comma 12, per cui costituisce causa di revoca l'aver “acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio”.
Indipendentemente da quanto precede, infine, ove l'amministratore non adempia o ritardi agli obblighi di riscossione propri del mandatario (cfr. l’art. 1710 c.c.), la sua condotta costituisce fonte di inadempimento, autorizzando il condominio danneggiato a richiedere comunque l'esatto adempimento al condomino moroso ed, eventualmente, il risarcimento del danno all'amministratore medesimo (contrattualmente responsabile verso il primo, nonostante l’espunzione dal testo definitivo della norma, nell’ultimo passaggio alla Camera dei Deputati, della disposizione secondo la quale "l’amministratore risponde dei danni a lui imputabili per il ritardo").
2. L’insorgenza dell’obbligo di riscossione forzosa.
Avuto peculiare riguardo all’obbligo di riscossione forzosa previsto dall’art. 1129, comma 9, c.c., esso: (1) diviene attuale alla scadenza dell’esercizio, il quale, peraltro, non coincide necessariamente con l’anno solare, né con quello finanziario (o fiscale), ma va identificato con l’anno di gestione condominiale (arg. da Cass. civ., sez. VI-2, n. 7395/2017), la cui durata è sovente oggetto di una specifica previsione regolamentare; (2) deve essere adempiuto entro sei mesi da tale momento; (3) non dipende dalla delibera di approvazione del rendiconto consuntivo che, al più, consente le operazioni di conguaglio e conterrà la ratifica - così rendendole esigibili - delle spese necessarie (ma non urgenti, né ordinarie) disposte dall’amministratore.
Conforme è l’impostazione della giurisprudenza di merito, per cui “il termine dei sei mesi previsto dal comma in esame decorre dall'ultimo giorno di scadenza dell'esercizio di gestione annuale e non da quando l'assemblea ha approvato il rendiconto di gestione ed è da intendersi quale termine finale e non già quale dies a quo, ben potendo l'amministratore provvedere a richiedere i contributi anche con il preventivo della gestione in corso precedentemente approvato dall'assemblea” (cfr. Trib. Reggio Emilia, 30 marzo 2016).
Tale interpretazione è, d’altronde, coerente (a) con il dato letterale della disposizione codicistica (che individua, quale dies ad quem, non già la data della delibera di “approvazione del rendiconto”, ma quella di “chiusura dell'esercizio”), (b) con la previsione della modalità del recupero con decreto ingiuntivo ex art. 63 disp. att. c.c. come alternativa (“anche”) e non esclusiva, nonché (c) con l'esigenza di coordinamento logico-sistematico dell'art. 1129, comma 9, c.c. con l'art. 1130, comma 1, n. 10 c.c., che fa obbligo all'amministratore di redigere il rendiconto condominiale annuale della gestione e provvedere alla convocazione dell'assemblea per la relativa approvazione entro 180 giorni dal medesimo dies a quo e, cioè, la fine dell’esercizio (sicché, stante la pressoché coincidenza dei due periodi - 6 mesi e 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio – non sarebbe sempre possibile garantire un’approvazione del rendiconto in termini utili, sì da consentire l’altrettanto tempestivo recupero forzoso).
3. I crediti oggetto di riscossione.
Le categorie di crediti che l’amministratore può (recte, deve) porre in esazione sono quelli “ordinari” (derivanti dal bilancio preventivo approvato), quelli conseguenti ad eventuali conguagli (determinati sulla base dei bilanci consuntivi già approvati), quelli originanti da deliberazioni assembleari già adottate e, infine, quelli derivanti da interventi disposti nell’esercizio dei propri poteri di ordinaria gestione del condominio (cfr. l’art. 1130 c.c.): in particolare, l’erogazione delle spese di manutenzione ordinaria o relative ai servizi comuni essenziali non richiede la preventiva approvazione dell'assemblea, trattandosi di esborsi cui l'amministratore provvede in base ai suoi poteri e non come esecutore delle delibere dell'assemblea, mentre la loro approvazione è richiesta in sede di consuntivo ai fini dell’approvazione dello stato di ripartizione definitivo (Cass., sez. II, n. 454/2017).
È invece dubbio se possano considerarsi non solo (e non tanto) esigibili, ma finanche certi, gli oneri derivanti da spese attinenti alla manutenzione straordinaria, ma urgenti (cfr. l’art. 1135, comma 2, c.c.): se essi, cioè, siano direttamente imputabili al condominio ovvero, al contrario, per la loro riferibilità a questo, necessitino comunque di un previo passaggio assembleare. In proposito, mentre Cass. II, n. 2807/2017 opta per la prima soluzione, assumendo che, per effetto dell’urgenza, il rapporto negoziale debba ritenersi sorto ex tunc tra condominio e terzo (con conseguente loro esigibilità alla scadenza, secondo quanto previsto dall’art. 1182 c.c.), al contrario, per Cass., sez. II, n. 20136/2017 deve escludersi che “il terzo, che abbia operato su incarico dell'amministratore” possa, di sua iniziativa, “dedurre che la prestazione da lui adempiuta rivestisse carattere di urgenza, valendo tale presupposto a fondare, in base all'art. 1135, ultimo comma, c.c., il diritto dell'amministratore a conseguire dai condomini il rimborso delle spese nell'ambito interno al rapporto di mandato”.
La raccolta deve avvenire in ogni caso sulla base dei criteri indicati dagli artt. 1123 ss. c.c. (in tal senso, ai fini della loro connotazione in termini di crediti esigibili, non occorre l’approvazione del relativo stato di riparto. Cfr. Cass., sez. II, n. 4672/2017), ovvero convenzionalmente fissati dal regolamento di condominio di natura contrattuale o dall’assemblea che approvò la spesa ed il riparto consuntivo, mentre non potrebbe l’amministratore autonomamente procedere all’istituzione di un fondo-cassa (che raccolga temporaneamente le quote anche indipendentemente dalla caratura millesimale, in via provvisoria e salvo conguaglio), trattandosi di atto di competenza assembleare (cfr., ex multis, Cass., sez. II, n. 13631/2001; Cass., sez. II, n. 17035/2016; Cass., sez II, n. 4679/2017; Cass., sez. VI-2, n. 20135/2017).
4. Il contenuto dell’obbligo a carico dell’amministratore.
In cosa consista l’obbligo di riscossione forzosa è circostanza, a ben vedere, non chiarita dalla norma: è da escludere, però, che si tratti della sola attivazione di procedure esecutive, giacché il riferimento alla ricorribilità “anche” alla procedura monitoria ex at. 63, comma 1, disp. att. c.c. consente di affermare che la stessa precostituzione del titolo esecutivo - da sottendere alla futura ed eventuale espropriazione forzata - mediante l’introduzione di un giudizio di cognizione (anche con atto di citazione, ricorso monitorio “semplice” ex art. 633 c.p.c. ovvero ricorso ex art. 702-bis c.p.c.) rientri tra gli obblighi dell’amministratore.
Tale conclusione, peraltro, appare chiara anche dall’esame dei lavori preparatori, laddove viene segnalato, quale novità contenuta al comma 9 dell’art. 1129 c.c., proprio l’inserimento dell’obbligo dell’amministratore di attivarsi nei confronti dei morosi con la procedura monitoria speciale dell’art. 63 cit.
Sennonché, al fine di procedere al recupero forzoso l’amministratore, in considerazione delle circostanze concrete (quali, ad esempio, l’importo modesto dei debiti da riscuotere), può anche non attivare subito procedure giudiziarie e limitarsi, quantomeno in una prima fase, al compimento di atti preliminari all’instaurazione di un giudizio (sempre però ferma, secondo l’interpretazione maggioritaria che della disposizione viene fatta, la necessità di agire giudizialmente nei confronti del moroso, entro il semestre dalla chiusura dell’esercizio), quali la costituzione in mora e diffida all’adempimento che, al pari degli atti introduttivi del giudizio, (a) producono l’effetto pratico di interrompere il decorso del termine di prescrizione (cfr. l’art. 2943, comma 4, c.c.) - così cristallizzando e tutelando la posizione creditoria del condominio – (b) sollecitano il pagamento e, soprattutto, (c) consentono di vagliare la possibilità di un “rientro” dall’esposizione debitoria in maniera bonaria, senza ulteriore aggravio di spese (e, anzi, con effetti - in taluni casi - ulteriormente favorevoli per il condominio. Si pensi, ad esempio, alla sottoscrizione di un atto ricognitivo di debito: in caso di inadempimento, pur non ricorrendo i presupposti dell’art. 63, comma 1, disp. att. c.c., l’amministratore potrebbe comunque chiedere la concessione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo, in virtù di quanto previsto dall’art. 642, comma 2, c.p.c.).
5. L’incidenza, solo parziale, della decretazione emergenziale.
Orbene, si è già avuto modo di chiarire, in altra occasione (CHIESI, Decretazione d'urgenza ed assemblea di condominio: brevi considerazioni), che, per effetto delle previsioni contenute nei molteplici D.P.C.M. (4, 8, 9, 11 e 22 marzo 2020) adottati sulla base del D.L. n. 6 del 2020 - la cui efficacia è stata inizialmente confermata dall’art. 2, comma 3, del D.L. n. 19 del 2020 - l’assemblea di condominio è stata posta nell’impossibilità di svolgimento, per effetto della sospensione ex lege di tutte le "manifestazioni o iniziative...e ogni forma di riunione...in luogo privato" di cui al d.l. n. 6 del 2020 ovvero dei “congressi, di ogni tipo di riunione o evento sociale e di ogni altra attività convegnistica o congressuale", di cui all’art. 1, comma 2, lett. l, del d.l. n. 19 del 2020.
Le norme limitative della facoltà di riunione contenute nei D.P.C.M. del 4, 8, 9, ed 11 marzo, poi, benché abrogate dall’art. 8, comma 1, del D.P.C.M. 10 aprile 2020 con decorrenza dal 14 aprile 2020, da tale ultima data e fino al 3 maggio 2020 sono state sostanzialmente riproposte dall’art. 1, lett. i (“sono sospese le manifestazioni organizzate, gli eventi…svolti in ogni luogo, sia pubblico sia privato…”) del D.P.C.M. da ultimo citato.
Sotto altro - ma concorrente - profilo, si è altresì osservato (CHIESI, L'assemblea al tempo del coronavirus) che, benché la legislazione emergenziale auspichi un ricorso sempre maggiore alle tecnologie che consentono lo svolgimento delle riunioni da remoto (cd. conference call), tale modus procedendi appare di difficile attuazione pratica in ambito condominiale, per evidenti limiti di carattere tecnico-giudirico (in tal senso si evidenza che l’art. 1, lett. t del D.P.C.M. 10 aprile 2020 significativamente chiarisce che le modalità di collegamento da remoto nello svolgimento di riunioni “sono adottate, in tutti i casi possibili”: il che presuppone un preliminare vaglio di fattibilità del collegamento).
Si è, però, in precedenza chiarito che la riscossione forzosa prescinde dalla convocazione di un'assemblea per l'approvazione del consuntivo: sicché l'impossibilità di funzionamento, allo stato, dell'organo collegiale esclude solo la possibilità che l'amministratore sia dispensato dal procedere al recupero, non anche dall'attivarsi. Anzi è vero esattamente il contrario: proprio perché non dispensato - né dispensabile - l'amministratore entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale deve attivare i meccanismi di recupero dei crediti rimasti insoddisfatti.
Ne consegue che il vero problema è, allora, il quomodo: il D.L. n. 18 del 2020 (che ha riorganizzato le previsioni originariamente contenute nel precedente D.L. n. 11 del 2020 ed è stato, a propria volta, successivamente parzialmente modificato dall'art. 36, comma 1, del D.L. n. 23 del 2020 quanto alla individuazione del termine finale di efficacia) contiene, infatti, diverse disposizioni volte - apparentemente - a paralizzare il fruttuoso esperimento, da parte dell'amministratore, di azioni giudiziarie, tanto in sede di cognizione ordinaria che di esecuzione, in virtù della disposta sospensione dell'attività giudiziaria ordinaria (salvo le eccezioni contemplate dal comma 3 dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020) fino all'11 maggio 2020; analoga sospensione, sia pure fino al 15 aprile 2020, riguarda, poi (peraltro con efficacia retroattiva al 9 marzo 2020), i procedimenti di mediazione (art. 83, comma 20) - obbligatoria nella materia condominiale, in virtù di quanto disposto dall'art. 71-quater disp. att. c.c. – introdotti dal 9 marzo 2020 ovvero già pendenti a tale data, salva la possibilità di loro celebrazione in via telematica, ove intervenga il consenso di tutte le parti (in tal senso dispone il comma 20-bis dell’art. 83, approvato con fiducia nella prima lettura al senato della legge di conversione del d.l. n. 18).
Sennonché, l'art. 1129, comma 9, c.c., oltre a non richiedere la preventiva approvazione assembleare, non prevede neppure che, nel termine semestrale dalla chiusura dell'esercizio, l'amministratore debba recuperare il credito: egli, infatti, per non essere a propria volta inadempiente rispetto alla compagine condominiale, è piuttosto obbligato ad agire - e cioè ad attivarsi - per la riscossione delle somme dovute.
6. Conclusioni.
Sicché, in conclusione, nulla esclude che l’amministratore, nelle more della ripresa delle attività giudiziarie, inoltri istanza di mediazione nei confronti dei morosi ovvero iscriva a ruolo il ricorso monitorio o – ferma sempre, però, la sospensione delle attività di mediazione obbligatoria, da recuperare a processo in corso, salva la possibilità (ove venga definitivamente approvato alla Camera il maxi-emendamento alla legge di conversione del d.l. n. 18 del 2020) di loro svolgimento con modalità telematiche - l'atto introduttivo di un giudizio ordinario o sommario di cognizione (pur in mancanza di un obbligo di provvedere da parte del G.I. designato, in virtù della sospensione dei termini anche per l’adozione dei provvedimenti giurisdizionali, disposta dall’art. 83, comma 2, secondo periodo, del d.l. n. 18 del 2020).
Peraltro, nel caso di impossibilità di provvedere, dovuta al rispetto delle misure di contenimento e prevenzione dalla diffusione del COVID-19, sopperisce la previsione contenuta all’art. 91, comma 1, del D.L. n. 18 del 2020, che ha disposto l’inserimento, all'articolo 3 del D.L. n. 6 del 2020 (conv. con mod. dalla l. n. 13 del 2020), dopo il sesto comma, del comma 6-bis, per cui “Il rispetto delle misure di contenimento di cui presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”; tale previsione - unitamente all’art. 4 - è l’unica del d.l. n. 6 del 2020 a non essere stata abrogata dal d.l. n. 19 del 2020 (cfr. l’art. 5, comma 1, lett. a, per cui “Sono abrogati: a) il decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, ad eccezione degli articoli 3, comma 6-bis, e 4”).
Nulla, ancora, preclude l'applicazione delle penali eventualmente previste dal regolamento di condominio e, non ultimo, nella ricorrenza dei presupposti legittimanti previsti dalla norma, la sospensione dell’uso di servizi suscettibili di utilizzazione separata (cfr. l'art. 63 disp. att. c.c.).
Nulla vieta, infine, all'amministratore di inoltrare ai condomini morosi l'atto di costituzione in mora contenente la contestuale diffida al pagamento del dovuto, producendosi così quell'effetto interruttivo della prescrizione (quinquennale, ex art. 2948, n. 4, c.c. e decorrente dalla delibera di approvazione del riparto della spesa ovvero, in mancanza, di approvazione del rendiconto consuntivo. Cfr. Cass., sez. II, n. 11981/1992 e, più recentemente, Cass., sez. II, n. 4489/2014) di cui si è detto e che, al momento, comunque garantisce nel miglior modo la preservazione delle ragioni creditorie del condominio; anzi, a tale riguardo Cass. civ., sez. II, n. 24920/2017, sia pure con riferimento a fattispecie anteriore alla vigenza della Riforma del condominio, in motivazione osserva che:"non merita censura la decisione impugnata laddove ha escluso la violazione dell'obbligo di diligenza da parte dell' A. per essersi comunque attivato nella raccolta dei fondi, avendo comunque messo in mora gli inadempienti (e l'indagine circa l'osservanza o meno da parte del mandatario degli obblighi di diligenza del buon padre di famiglia che lo stesso è tenuto ad osservare ex artt. 1708 e 1710 c.c. - anche in relazione agli atti preparatori, strumentali e successivi all'esecuzione del mandato - è affidata al giudice del merito, con riferimento al caso concreto ed alla stregua degli elementi forniti dalle parti, il cui risultato, fondato sulla valutazione dei fatti e delle prove, è insindacabile in sede di legittimità: v. tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 13513 del 16/09/2002 in motivazione").