La vicenda
L’acquirente di un appartamento in condominio agisce contro i costruttori-venditori dell’edificio, chiedendo l’accertamento del proprio diritto di uso a parcheggio su una porzione di terreno adiacente al complesso immobiliare, previa declaratoria di nullità della clausola del contratto di compravendita con la quale i convenuti si sono riservati la proprietà di detta area.
In primo grado la pretesa attorea trova accoglimento.
Opposto esito registra il giudizio d’appello: la corte territoriale rileva che la concessione edilizia (nomen iuris del provvedimento amministrativo abilitativo, secondo la terminologia vigente all’epoca del suo rilascio) non prevede che le aree circostanti il fabbricato siano destinate a parcheggio, con conseguente mancanza dei presupposti necessari per l’accoglimento della domanda.
I principali motivi del ricorso per Cassazione proposto dall’acquirente dell’immobile vertono sull’asserita violazione e falsa applicazione dell’art. 18 della L. 6 agosto 1967, n. 765 (cosiddetta “legge-ponte urbanistica”) che, modificando la legge urbanistica fondamentale del 17 agosto 1942, n. 1150, ha inserito in quest’ultima l’art. 41-sexies, a tenore (originario) del quale, nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse, debbono essere riservati appositi spazi per parcheggi in misura non inferiore ad un metro quadrato per ogni venti metri cubi di costruzione (oggi 10 metri cubi, in base all’ulteriore modifica apportata dalla L. 24 marzo 1989, n. 122).
I motivi ruotano, in particolare, su due circostanze: i lavori di costruzione dell’edificio condominiale sarebbero iniziati dopo l’entrata in vigore dell’art. 41-sexies della legge n. 1150 del 1942 e l’area da destinare a parcheggio, oltre ad esistere materialmente, sarebbe sempre stata adibita a parcheggio dai condomini dell’edificio.
La decisione della Suprema Corte
Entrambi i motivi di ricorso vengono dichiarati inammissibili, in quanto non tesi a ...