Il conduttore può agire solo azionando la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e non può chiedere al giudice la riduzione del canone di locazione per il periodo di chiusura dell’attività dovuto al Covid.
Vale lo sfratto per morosità intimato dai proprietari dell’immobile, sebbene il risarcimento del danno non sia dovuto perché l’attività è rimasta chiusa per un impedimento non prevedibile né superabile da parte del conduttore, quale la chiusura forzata imposta dal decreto “Cura Italia”.
Da tale norma non può farsi derivare un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione dei canoni di locazione. Trattandosi di contratto sinallagmatico ad esecuzione continuata e periodica, se la prestazione si aggrava per un evento imprevedibile, la soluzione che l’ordinamento prevede è l’azione di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, mentre l'istituto della riduzione del contratto ad equità può essere azionato dalla controparte contro cui sia domandata la risoluzione, al fine di evitarla (art.1467, terzo comma, cod. civ.; Cass. 26/01/2018, n. 2047).
A questa conclusione è giunta la Corte di Cassazione che, con la sentenza n. 16113 del 16 giugno 2025, ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano accolto la domanda dei proprietari di un immobile, condannando il conduttore moroso a versare i canoni di locazione. I proprietari del negozio avevano intimato al conduttore lo sfratto per morosità e il conduttore del locale commerciale aveva chiesto al giudice di ridurre il canone di locazione della metà, vista l’imprevedibile chiusura forzata dell’attività dovuta alle imposizioni del decreto “Cura Italia”.
I conduttori avevano promosso ricorso in Cassazione contro il rigetto della loro domanda di riduzione del canone non accolta dalla Corte d’appello. I giudici di legittimità, tuttavia, hanno respinto il ricorso, chiarendo che non può farsi leva sul decreto Cura Italia per “creare” un diritto potestativo giudiziale in circostanze in cui l’ordinamento prevede, quale rimedio potestativo, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
La Cassazione enuncia, dunque, il seguente principio di diritto:
"In tema di contratti ad esecuzione continuata, periodica o differita, l’art. 91, comma 1, del d.l. 17 marzo 2020, n.18 (c.d. decreto "Cura Italia"), assume rilievo ai fini del giudizio di imputabilità dell'inadempimento nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, attribuendo all'impedimento derivante dal rispetto delle misure anti-Covid la natura di impedimento non prevedibile né superabile con la diligenza richiesta al debitore e quindi di causa non imputabile della inesecuzione della prestazione da parte sua, liberandolo dall'obbligo di risarcimento del danno ed escludendo la legittimazione della controparte all'azione di risoluzione per inadempimento; dalla norma in questione, invece, non può farsi derivare l'esistenza di un diritto potestativo giudiziale di ottenere la riduzione della prestazione dovuta in esecuzione di un rapporto contrattuale a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica per effetto dell'incidenza su tale rapporto delle suddette misure restrittive anti-pandemiche, atteso che, stante il principio di tipicità dei rimedi giudiziali potestativi diretti a suscitare sentenze di carattere costitutivo (art. 2908 cod. civ.), un
potere conservativo di riduzione ad equità della prestazione va riconosciuto alla parte eccessivamente onerata soltanto nell'ipotesi di contratto a titolo gratuito (art. 1468 cod. civ.), mentre, al di fuori di tale ipotesi, essa parte resta legittimata all'azione di risoluzione per eccesiva onerosità sopravvenuta, spettando in tal caso alla controparte che intenda evitare lo scioglimento del rapporto contrattuale un diritto potestativo di rettifica (da esercitarsi mediante negozio giuridico unilaterale e recettizio), analogo a quello previsto in tema di contratto annullabile per errore (art.1432 cod. civ.) e di contratto rescindibile (art. 1450 cod. civ.) e fondato sul principio di conservazione del contratto, avente ad oggetto la riduzione ad equità non della singola prestazione, ma più in generale, del contenuto del contratto (art. 1467, terzo comma, cod. civ.) al fine di ripristinarne l'originario equilibrio".