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Nullo il patto di non concorrenza se il datore non specifica limiti territoriali e di oggetto

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Nullo il patto di non concorrenza se il datore non specifica limiti territoriali e di oggetto

lunedì, 19 maggio 2025

Deve essere dichiarata la nullità del patto di non concorrenza se il datore di lavoro non precisa nel contratto dettagliatamente i limiti territoriali, determinando con precisione l’oggetto e versando al lavoratore un corrispettivo adeguato per il vincolo imposto.

Questo è quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 13050 del 16 maggio 2025, accogliendo il ricorso di una private banking che aveva agito contro l’azienda per cui lavorava, ritenendo che il patto stipulato con la stessa violasse l’articolo 2125 del Codice Civile. 

Lamentava la lavoratrice la falsa applicazione da parte dei giudici d’appello dell’articolo 2125 c.c., la cui sentenza l’aveva condannata al pagamento della penale pattuita, ritenendo violato il patto di non concorrenza stipulato con l’azienda per cui la private banking lavorava per aver intrapreso un’altra attività, non rispettando i termini temporali imposti dal vincolo pattuito.

Nel rispondere al ricorso, la Cassazione ha chiarito che la finalità del patto di non concorrenza è duplice, da un lato vi è l’interesse dell’azienda di preservare il proprio patrimonio immateriale da “esportazioni” abusive, trattandosi di un bene che assicura la sua resistenza sul mercato ed il suo successo rispetto alle aziende concorrenti, e, d'altro canto, tutelare il lavoratore subordinato, affinché le dette clausole non comprimano eccessivamente le possibilità di indirizzare la propria attività lavorativa verso altre occupazioni ritenute più convenienti (da ultimo, Cass. n. 9790 del 2020ata pubblicazione 16/05/2025 conf. a Cass. n. 24662 del 2014). 

Dettando una specifica regolamentazione al patto, nell’ambito della regola generale di cui all’articolo 2125 c.c., il legislatore ha inteso preservare la libertà del lavoratore, che, pur se assoggettabile a condizionamenti in ubbidienza alla regola dell'autonomia contrattuale, non deve essere limitata in modo tale da pregiudicare l'esplicazione della concreta professionalità del lavoratore medesimo, mettendo a repentaglio ogni potenzialità reddituale. In ragione di ciò, l'art. 2125, co. 1, c.c., ha subordinato la validità del patto di non concorrenza a specifiche condizioni - espressamente indicate dalla norma – di forma, di corrispettivo, di limiti di oggetto, di tempo e di luogo, gravando l'eventuale violazione con la più grave delle sanzioni negoziali: la nullità del patto.

Nel rispetto della regola generale, pertanto, evidenzia la Corte, vanno dettagliati nell’accordo di non concorrenza i limiti di oggetto, di tempo e di luogo, in modo che siano determinati o, quantomeno, determinabili sin dal momento della conclusione di tale negozio giuridico, al fine di consentire una corretta formazione del consenso delle parti in sede di stipula. 

La ratio della disposizione, chiaramente ispirata all'intento di bilanciare i contrapposti interessi delle parti, si fonda, infatti, sull'esigenza che il lavoratore abbia consapevolezza certa, fin dall'assunzione dell'impegno, della area geografica, in relazione alla quale si compirà il vincolo, per assumere le determinazioni opportune sulle scelte lavorative, le quali verrebbero bloccate ove essa fosse soggetta alle determinazioni unilaterali della controparte.

Affinchè il patto sia valido, inoltre, occorre che anche il corrispettivo dovuto per la limitazione imposta alla libertà del lavoratore di autodeterminarsi, sia distinto dalla retribuzione e possieda i requisiti previsti in generale per l'oggetto della prestazione dall'art. 1346 c.c..

Il compenso ulteriore pattuito non deve, pertanto, essere meramente simbolico o manifestamente iniquo o sproporzionato, in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall'utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro.

Concludendo, il patto non deve essere di ampiezza tale da comprimere lo svolgimento della concreta professionalità del lavoratore in termini che compromettano ogni potenzialità reddituale; all'eventuale sproporzione economica del regolamento negoziale, consegue dunque la nullità dell'intero accordo.

Appare evidentemente doveroso considerare il corretto bilanciamento degli interessi in gioco nella scrittura del patto di non concorrenza per evitarne la declaratoria di nullità.

La sentenza viene cassata e rinviata ad altro giudice che procederà ad un nuovo esame della questione, tenendo conto delle valutazioni della Cassazione.

 

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