Con la Risposta a interpello 22 aprile 2025, n. 118, l’Agenzia delle Entrate spiega comedevono comportarsi in materia di IVA gli eredi di un professionista deceduto quando incassano, anni dopo, un compenso non ancora fatturato dal de cuius.
La fattispecie
Nel caso di specie, l’istante, quale erede di un professionista deceduto, espone che nel mese di dicembre 2024 ha percepito, in qualità di erede e in quota parte, un compenso professionale, al netto della corrispondente IVA, spettante al de cuius per le prestazioni professionali dallo stesso rese nei confronti di una società, poi fallita.
Dapo avere evidenziato che la partita IVA del padre era già stata chiusa in vita dallo stesso professionista, riferisce a tal fine che:
- il curatore fallimentare, nel preannunciare a mezzo PEC la liquidazione del compenso, aveva precisato che la corresponsione di tali somme sarebbe stata documentata, ai fini IVA, mediante emissione di autofattura da parte della curatela fallimentare, che, trattenendo l'importo dell'IVA, avrebbe poi provveduto a versarla direttamente all'Erario;
- con successiva PEC, il curatore ha comunicato che, a seguito della modirica normative dell'art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, non gli era più consentito procedure all'emissione dell'autofattura, chiedendo, pertanto, all'istante di emettere, mediante avvio di una posizione fiscale, fattura nei confronti della società fallita, al ricevimento della quale la curatela fallimentare avrebbe corrisposto l'importo dell'IVA precedentemente trattenuta.
Per l’effetto, l'istante chiede chiarimenti circa le modalità di assolvimento degli obblighi IVA relativi al compenso professionale incassato in qualità di erede del de cuius.
Soluzione delle Entrate
Con la Risposta all’interpello in esame, l’Agenzia delle Entrate affronta la questione, ricostruendo il complesso quadro normativo e giurisprudenziale in materia di cessazione dell’attività professionale e gestione dei crediti residui.
In particolare, le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 8059/2016), hanno enunciato il principio secondo cui, «il compenso di prestazione professionale è imponibile ai fini IVA, anche se percepito successivamente alla cessazione dell'attività, nel cui ambito la prestazione è stata effettuata, ed alla relativa formalizzazione».
In pratica, se il defunto non ha fatturato la prestazione, l'obbligo si trasferisce agli eredi i quali dovranno fatturare la prestazione da lui eseguita non in nome proprio, ma in nome del defunto.
Ciò posto, l’Agenzia stabilisce innanzitutto che la soluzione prospettata dall’erede (non riaprire la partita IVA e lasciare al curatore la “vecchia” autofattura) non è più praticabile, atteso che la modifica normativa del 2024 (art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471/1997, come riformulato ad opera dell'art. 2, comma 1, lett. d), n. 7), del D.Lgs. n. 87/2024) ha superato, pro parte, la Risposta ad interpello n. 52/2020, per cui l’obbligo principale di fatturazione in tal caso rimane in capo agli eredi; il curatore potrà procedere alla “regolarizzazione” con codice TD29 solo se l’erede resta inerte.
Il compenso deve essere pagato al lordo dell’IVA; spetterà all’erede emettere fattura in nome e per conto del de cuius, riattivando la partita IVA di quest’ultimo (o aprendone una nuova, ereditata, con codice fiscale del defunto), come previsto dall'art. 35-bis del D.P.R. n. 633/1972.
Se l’erede omette l’adempimento, l’Agenzia potrà recuperare imposta, sanzioni e interessi direttamente nei suoi confronti.
In conclusione, quindi, il contribuente che, in qualità di erede, percepisce il compenso spettante al padre deceduto che aveva chiuso la partita IVA, per assolvere correttamente gli obblighi fiscali deve:
- riaprire la partita IVA del professionista;
- emettere la fattura relativa al compenso incassato;
- effettuare tutti gli altri adempimenti relativi al pagamento.