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Impegnarsi a risanare le perdite della SAS per l’accomandante non significa diventare illimitatamente responsabile

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Impegnarsi a risanare le perdite della SAS per l’accomandante non significa diventare illimitatamente responsabile

venerdì, 28 marzo 2025

Per il solo fatto di aver ripianato un debito della SAS, il socio accomandante non diventa automaticamente responsabile in via illimitata.

Questo l’assunto della Cassazione che, con un’ordinanza pubblicata il 26 marzo 2025, ha rigettato il ricorso di una signora, la quale aveva ingiunto alla socia accomandante di una sas il pagamento di una somma.

La pretesa si fondava su un prestito fatto in favore della sas anni prima, finalizzato a ripianare il debito della società, con l’impegno [assunto con scrittura privata] da parte dei soci, della restituzione delle somme prestate, una volta effettuata la cessione di quote della società a terzi. Impegno non onorato dalla sas. 

Per  recuperare tali somme, la signora si era rivolta ai giudici di Pavia,  ma il decreto ingiuntivo veniva opposto dalla accomandante, con domanda di accertamento di nulla dovere in ordine al decreto ingiuntivo e di revoca del medesimo. A sostegno del proprio assunto, l’accomandante deduceva che lei, sottoscrivendo l'accordo, lungi dall'impegnarsi personalmente, si era limitata ad impegnarsi a ripianare le perdite al momento della cessione delle quote societarie a terzi.

Costituitasi in giudizio, la presunta creditrice chiedeva il rigetto dell'opposizione, con conferma del decreto ingiuntivo e, in ogni caso, la condanna della opponente al pagamento del credito vantato con ricorso monitorio.

Il Tribunale di Pavia, istruita documentalmente la causa, rigettava la domanda di pagamento e lo stesso facevano i giudici d’appello, confermando la decisione di primo grado.

La vicenda, dunque, giunge in Cassazione, dove la signora denuncia da parte dei giudici di merito la violazione e/o falsa applicazione di legge dell'art. 2320 c.c., nella parte in cui la corte territoriale ha ritenuto in fatto essere intervenuto un riconoscimento di debito con promessa di ripianare le perdite sottoscritto dal socio accomandante e non ha applicato la conseguente sanzione della responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per l'obbligazione sociale contratta con scrittura privata, con conseguente mancata sussunzione di norma di legge.

In altri termini, secondo la ricorrente, l’accomandante, firmando la scrittura privata, ha riconosciuto un debito della società impegnandosi a ripianare i debiti, con la conseguenza che avrebbe dovuto essere accordata, in applicazione dell'art. 2320 c.c., la sanzione della responsabilità illimitata per essere stato effettuato un atto di ingerenza nell'amministrazione.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso infondato, ricordando che l'ingerenza nell'amministrazione è rigorosamente vietata ai soci accomandanti dall'art. 2320 c.c., il quale, al comma 2, aggiunge che il socio accomandante, che contravviene al divieto, assume la responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'articolo 2286.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha già comunque avuto modo di precisare (cfr. Cass. n. 11250/2016 e Cass. n. 4498/2018) che il socio accomandante assume la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali, a norma dell'art. 2320 c.c., solo ove contravvenga al divieto di trattare o concludere affari in nome della società, o di compiere "atti di gestione aventi influenza decisiva o almeno rilevante sull'amministrazione della stessa" . 

Alla luce del suddetto principio, la Cassazione, in un’altra circostanza, cassava una sentenza di merito che aveva ritenuto finalizzata alla cogestione dell'amministrazione sociale la mera presenza nella rivendita commerciale della socia accomandante, senza procedere all'ulteriore disamina della natura dell'attività esercitata; mentre, in altra occasione, confermava la sentenza di merito, con cui si era ritenuto che la mera "presa di contatto" del socio con un'altra società, tesa a sondarne le intenzioni "transattive", non comportasse violazione del divieto di ingerenza. 

È, altresì, principio consolidato (già affermato, ad es., da Cass. n. 3563/1979 e da Cass. n. 172/1987), scrivono i giudici, quello per cui, per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice, non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga una attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa. 

E proprio attraverso la corretta applicazione dei principi innanzi delineati che la Corte di merito ha concluso che, con la sottoscrizione della scrittura privata, la socia accomandante, nel riconoscere un debito della società e nell'impegnarsi a ripianarlo - non aveva posto in essere alcun atto di ingerenza nell'amministrazione e non era, pertanto, divenuta illimitatamente responsabile per le obbligazioni sociali.

 

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