La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7985 depositata il 26 marzo 2025, accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, presentato avverso la pronuncia della Commissione Tributaria di Milano che, in grado d’appello, aveva accolto il ricorso di un contribuente proposto contro la decisione dei giudici tributari di primo grado.
La questione ruotava intorno ad un provvedimento di sgravio fiscale parziale emesso dalle Entrate a seguito della presentazione, da parte del contribuente, di una dichiarazione integrativa, con cui lo stesso aveva richiesto la revisione delle sanzioni contestategli dal Fisco per omessi versamenti in dichiarazione, a seguito di controlli automatizzati.
In primo grado, i giudici avevano rigettato il ricorso presentato dal contribuente, mentre la CTR, in seconde cure, lo accoglieva, stabilendo che, ferma restando l'imposta dovuta come concordata in forza del predisposto piano di rientro, le sanzioni andavano calcolate al 10% sull'imposta e non al 30%, come invece aveva fatto il Fisco, confermando la misura iniziale delle stesse, nonostante lo sgravio parziale.
L’Agenzia delle Entrate, però, si rivolgeva ai giudici della Cassazione, ritenendo che, i colleghi del merito, avessero errato nel rigettare l'eccezione di inammissibilità dell'impugnazione del provvedimento di sgravio (parziale), ritenendo tale atto autonomamente impugnabile, in virtù dell'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c..
Ad avviso del Fisco, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi non rientrava nella previsione di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 546/92 e consisteva, comunque, in un provvedimento non lesivo, nemmeno potenzialmente, della sfera patrimoniale del contribuente. Peraltro, attraverso l'impugnazione del provvedimento di sgravio parziale, si sarebbe data alla parte la possibilità di rimettere in discussione un provvedimento definitivo qual era la cartella di pagamento notificata e non opposta, in contrasto con l'art. 21 del d.lgs. n. 546/92.
Ragionamento quello delle Entrate, pienamente condiviso dalla Cassazione, la quale, sulla scorta del più recente orientamento, evidenzia nell’ordinanza che "in tema di contenzioso tributario, l'annullamento parziale adottato dall'Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa"(Cass. 7511/16; Cass. n. 25673/16; Cass. n. 29595/2018; Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 9225 del 2021).
Tutto ciò sul presupposto che l'esercizio in autotutela di una potestà meramente ed effettivamente riduttiva "non può comportare alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto e consolidatosi in ragione della mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento" laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un'autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all'originaria pretesa (Cass. 7511/16 cit.; Cass. n. 29595 del 2018; da ultimo, Cass., sez. 5, n. 10947 del 2024).
Con riferimento all’impugnabilità del provvedimento di diniego anche parziale di annullamento in via di autotutela di un avviso di accertamento divenuto definitivo, già la Cassazione si era espressa in questi termini: "la determinazione assunta dall'Ente impositore che, in sede di autotutela, agendo d'impulso oppure su sollecitazione del contribuente, adotti un provvedimento di sgravio parziale della pretesa impositiva, sebbene la stessa non sia più suscettibile di impugnazione, non comporta che il contribuente sia per questo legittimato a contestare in giudizio, al fine di opporre il pregiudizio di un interesse proprio ed esclusivo, il mancato esercizio dell'autotutela con riferimento alla parte residua della pretesa tributaria definitiva che, con valutazione discrezionale, non è stata annullata; la contestazione del diniego di autotutela, anche parziale, avverso provvedimento definitivo rimane possibile sol quando si invochino ragioni di rilevante interesse generale dell'Amministrazione finanziaria alla rimozione dell'atto, originarie o sopravvenute" (Cass., sez. 5, Ordinanza n. 33610 del 2023; nello stesso senso, Cass. sez. 5, Ordinanza n. 21590 del 2024).
La CTR, dunque, pare non si sia attenuta ai suddetti principi, non accogliendo l'eccezione di inammissibilità del ricorso avverso il provvedimento di sgravio (parziale), affermando invece che "il provvedimento in oggetto recando seco una statuizione che incide direttamente sul destinatario (il ripristino delle sanzioni al 30%), è autonomamente ricorribile, sussistendo l'interesse ad agire ex art. 100 c.p.c"; invece, il provvedimento di sgravio parziale - non contenente, nella specie, alcun "ripristino delle sanzioni al 30%" mancando una qualche previa riduzione delle stesse - quale atto di annullamento (parziale) adottato dall'Amministrazione in via di autotutela, di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta nella cartella di p a g a m e n t o divenuta definitiva p e r m a n c a t a impugnazione, non rientrava nella previsione di cui del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, e non era quindi impugnabile; peraltro, l'impugnazione del provvedimento di sgravio parziale avrebbe comportato strumentalmente una rimessione in termini per la sostanziale impugnazione della cartella di pagamento medesima che, nella specie, era stata notificata e non opposta con violazione anche dell'art. 21 del d.lgs. n. 546/92.
Nulla di fatto, dunque, per il contribuente. La sentenza viene cassata con rinvio per la ridefinizione nel merito.