Con la Risposta a interpello 24 gennaio 2025, n. 10, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che ai fini del calcolo del quinquennio per la plusvalenza per la vendita immobiliare rileva la data di acquisto dell'immobile e non quella del cambio di destinazione d'uso.
L’interpello
Nel caso specifico, l’stante, proprietario di un immobile accatastato in categoria catastale C/2, ha effettuato tre anni dopo l’acquisto una variazione per il cambio di destinazione d'uso da magazzino a civile abitazione con intervento senza opere, con passaggio in categoria A/7.
Volendo vendere l'immobile, chiede se l'eventuale plusvalenza derivante dalla compravendita è assoggettabile a tassazione ai sensi dell'art. 67, comma 1, lett. b), del D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) e, in particolare se, ai fini del computo del quinquennio indicato nella norma, rilevi la data di acquisto dell'immobile oppure quella di cambio di destinazione d'uso da magazzino a civile abitazione nonché la data di incasso di una caparra confirmatoria stabilita con un preliminare di compravendita.
La disposizione citata, infatti, prevede che siano soggette a tassazione, in qualità di redditi diversi, “le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o costruiti da non più di cinque anni”.
Soluzione delle Entrate
Con la risposta all’interpello in esame, l’Agenzia Entrate ricorda innanzitutto che, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. b), del TUIR, le plusvalenze derivanti dalla cessione di beni immobili:
- configurano redditi diversi se la cessione è effettuata prima del decorso di un quinquennio dall’acquisto o dalla costruzione dell’immobile;
- non sono imponibili, a prescindere dal decorso del quinquennio, ove l’immobile sia pervenuto per successione, oppure sia stato adibito, per la maggior parte del periodo intercorrente tra l’acquisto o costruzione e la vendita, ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari.
Da ciò ne deriva, quindi, che la variazione catastale per cambio di destinazione d’uso “senza opere” non rileva, ai fini della norma in oggetto, a meno che si intenda far valere l’utilizzo dell’immobile come abitazione principale per la maggior parte del periodo intercorrente tra acquisto e rivendita. In tal caso, un immobile oggetto di modifica catastale da C/2 ad A/7 può essere considerato idoneo all’uso abitativo solo dalla data in cui sia stato effettivamente iscritto nella categoria catastale A7 (v. Risoluzione n. 105/2007).
Invece, ove l’esclusione della plusvalenza sia riconducibile al decorso del quinquennio (e non, invece, dalla destinazione dell’immobile ad abitazione principale), il cambio di destinazione d’uso è irrilevante in quanto non integra né un’operazione di acquisto, né una “costruzione”, situazioni alle quali la norma àncora il termine iniziale per il computo del quinquennio.
Del resto, né il tenore letterale della norma né la ratio sembrano dipendere dalla natura dei fabbricati ceduti (l’unica distinzione in merito, infatti, riguarda i terreni). Pertanto, il termine “immobili” dovrebbe essere inteso in modo ampio senza che rilevi un eventuale cambio di destinazione.
Per le stesse ragioni, non rileva neppure, ai fini del computo del quinquennio, la stipula del contratto preliminare, in quanto non ha effetti traslativi, né la corresponsione della caparra.
In conclusione, sulla scorta dei principi sopra enunciati, l’Agenzia delle Entrate afferma che, nel caso di specie, la vendita dell’immobile non configura il sorgere di plusvalenze imponibili ex art. 67, comma 1, lett. b), del TUIR, in quanto il cambio di categoria catastale, effettuato “senza opere”, “non rileva ai fini del computo del quinquennio indicato nella norma in quanto, come sopra precisato, non configura né l’«acquisto» né la «costruzione» dell’immobile”.