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Cassazione: se la banca non rettifica la posizione nella centrale dei rischi, risarcisce la società

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Cassazione: se la banca non rettifica la posizione nella centrale dei rischi, risarcisce la società

lunedì, 12 febbraio 2024

Accolto dagli ermellini il ricorso della società contro la decisione della Corte d’appello di Bari che l’aveva condannata al pagamento del debito con la banca, ritenendo di non poter procedere alla declaratoria di risoluzione per inadempimento dell’accordo transattivo tra le parti, in quanto la mancata cancellazione da parte dell’istituto di credito della segnalazione della società alla centrale rischi era un elemento secondario rispetto all’accordo, finalizzato unicamente ad estinguere il debito della società verso l’istituto di credito.


I giudici di merito avevano ritenuto che, non facendo la transazione alcuna espressa menzione della cancellazione della posizione debitoria alla centrale dei rischi, la mancata condotta della banca che non si era attivata per tempo per estinguere la posizione debitoria della società, nonostante la società stesse onorando l’accordo transattivo, non poteva considerarsi come grave inadempimento, in quanto ciò non costituiva la ragione principale dell’accordo.

Per i giudici di seconde cure, l’inadempimento della banca non era tale da considerarsi essenziale rispetto alla transazione intervenuta e comunque non tanto grave da legittimarne la risoluzione.

La Corte aveva comunque riconosciuto alla società un danno d’immagine, liquidandolo in via equitativa nella misura di 1000 euro per ogni mese di ritardo della suddetta derubricazione dell’attrice dalla centrale dei rischi della Banca d’Italia.


Ma la società, contro tale decisione, ha formulato ricorso in Cassazione, considerando inesatta la motivazione dei giudici d’appello, in quanto, secondo la ricorrente, avevano erroneamente interpretato la transazione tra le parti, ritenendo che, attraverso tale accordo, la società avesse dato preminenza alla sua volontà di estinguere il debito e condizione secondaria, quella di eliminare la sua posizione debitoria dalla centrale dei rischi di Bankitalia.

Più in dettaglio, la ricorrente deduceva nel suo ricorso, essere circostanza nota che sia le società che operano sui mercati sia le banche non contrattano o non concedono finanziamenti a soggetti segnalati a “sofferenza” nella centrale dei rischi.

Sulla base di tale presupposto, spiegava la parte ricorrente, come riporta l’ordinanza della Cassazione: se la volontà contrattuale della banca era quella di ottenere la somma debitoria a stralcio, quella della società era invece quella di ottenere la cancellazione (o almeno la modifica della posizione debitoria) dalla centrale dei rischi.
Dunque, i giudici di merito avevano errato nell’utilizzare i criteri ermeneutici di cui all’articolo 1366 c.c. (principio di interpretazione del contratto secondo buona fede) e 1370 c.c. (principio di interpretazione contro il predisponente).

A parere della società, pertanto, i giudici di merito avrebbero dovuto dedurre la dolosità del comportamento della banca e non solo vedere una colpa nella sua manchevole condotta.


La Corte di Cassazione ha, dunque, accolto le ragioni della società, spiegando che, secondo l’orientamento giurisprudenziale oramai consolidato, ai fini della ricerca della comune volontà delle parti, in un accordo, il primo strumento da considerare è il senso letterale delle parole utilizzate per formulare le clausole, secondo poi occorre riferirsi agli ulteriori criteri legali di interpretazione, come il comportamento delle parti anche dopo la conclusione del contratto, ma non solo! Risulta altresì necessario considerare i criteri funzionali, ex articolo 1369 c.c., la cui disposizione consente di accertare il significato del contratto, in coerenza con la relativa ragione pratica, oltre che riferirsi al criterio di interpretazione, secondo buona fede di cui all’articolo 1366 c.c.

Per indagare la reale volontà delle parti, pertanto, l’elemento letterale del contratto, va sì considerato, ma anche posto in correlazione con gli altri criteri ermeneutici e primariamente quello funzionale, in coerenza con gli interessi (causa concreta) che le parti hanno avuto intenzione di tutelare mediante il contratto.

Nel caso di specie, invece, essendo l’accordo finalizzato ad estinguere il debito, la posizione della società, che pure aveva iniziato a saldarlo, onorando la transazione, non era più da considerarsi “in sofferenza”, bensì ristrutturata; tuttavia, la banca, dopo il primo versamento in suo favore, si era limitata a far annotare alla centrale dei rischi, la riduzione dell’esposizione, mancando di comunicare la variazione della posizione della società, che da sofferente sarebbe dovuta passare in ristrutturata, situazione questa che si era protratta per mesi, fino a permanere anche a debito estinto, malgrado la diffida inviata dalla società.

La Cassazione, pertanto, ha ritenuto il ricorso fondato, cassando la sentenza e rinviandola alla Corte d’Appello di Bari che dovrà riformulare il giudizio, secondo i criteri fissati dai giudici di legittimità.

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