Secondo una recente pronuncia della Corte di Cassazione (Ord. n.21716 del 18 settembre 2023) affinchè l’operazione societaria si possa qualificare come cessione di ramo d’azienda, i beni trasferiti, complessivamente intesi, devono possedere una propria autonomia funzionale preesistente e successiva all’operazione.
Diversamente, l’operazione non può rientrare nella definizione di cessione di ramo, ma al più può parlarsi di cessione di cespiti.
La decisione della Cassazione è giunta in accoglimento del ricorso promosso dall’Agenzia delle Entrate avverso una decisione della Commissione regionale della Campania, la quale, in secondo grado, aveva rigettato il ricorso delle Entrate, favorendo invece la società resistente, che aveva promosso l'azione giudiziaria davanti ai giudici tributari contro un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva dell’annualità 2012, ai sensi dell’articolo 39 comma 1 lettera d), Dpr n. 600/1973, con cui era stata recuperata a tassazione la plusvalenza dichiarata dalla società nel modello unico 2013 riferita alle plusvalenze relative ad operazioni esenti, generata dal conferimento di un ramo d’azienda, in regime di neutralità fiscale, in base all’articolo 176 tuir, nella neocostituita srl che possedeva il 100% delle quote e si occupava di locazione degli immobili della società.
Secondo l’Agenzia delle Entrate, il conferimento attuato dalla società non doveva intendersi quale cessione di ramo d’azienda, bensì come un insieme di beni aziendali ceduti, operazione regolata dall'articolo 9, comma 5, del Tuir.
I giudici di seconde cure, invece, ritenevano che la società avesse correttamente applicato la norma sulla cessione di ramo d’azienda, poichè, alla luce dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità, nella qualificazione della cessione di ramo non rileva la natura dell'attività imprenditoriale trasferita in capo alla neocessionaria, essendo, di fatto, irrisorio ogni ulteriore trasferimento, di personale e altri beni materiali, nonché l'iniziale funzionalità dell'attivo patrimoniale conferito con riferimento all'attività principale svolta dalla società accertata, in quanto l’operazione andava valutata esclusivamente con riferimento alla nuova attività imprenditoriale della conferitaria, consistente nella costruzione e commercializzazione di unità immobiliari.
Sempre secondo i giudici d’appello, risultava irrilevante anche il fatto che la conferente continuasse ad utilizzare i beni immobili ceduti alla nuova srl mediante un contratto di locazione tra le due società, dovendo essere oggetto di analisi unicamente la potenzialità produttiva del complesso aziendale oggetto della cessione.
La Corte di Cassazione, intervenendo sulla questione, con l’ordinanza in esame, ha diversamente accolto il ricorso dell’amministrazione, cassando la sentenza di merito e rinviando il giudizio ad altra sezione della Ctr Campania.
In base alle argomentazioni degli ermellini, la questione andava analizzata con riferimento al negozio giuridico erroneamente valutato.
In effetti, ciò che la società aveva qualificato come cessione di ramo d’azienda, andava inquadrato invece come cessione di singoli cespiti e, quindi, fiscalmente rilevante sia ai fini delle imposte dirette (essendo inapplicabile il regime di neutralità dell'operazione di conferimento come regolato dall'articolo 176 del Tuir), sia ai fini dell'Iva (poiché solo il contratto di cessione di azienda o di ramo di azienda risulta essere fuori campo Iva, assoggettabile ad imposta di registro).
Per la Cassazione, dunque, l’Agenzia delle entrate aveva correttamente inquadrato la questione, partendo dall’assunto che l'azienda è definita dall’articolo 2555 c.c. come il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa.
Sul tema della differenza tra assoggettabilità a imposta di registro della cessione d'azienda e assoggettabilità a Iva della cessione di singoli beni, la Cassazione è intervenuta in più occasioni, chiarendo che, solo in presenza di una cessione di beni complessivamente funzionali all'esercizio d'impresa, si può parlare di una cessione d'azienda soggetta a imposta di registro, diversamente deve essere assoggettata a Iva la cessione di singoli beni che non integrano, di per sé, la potenzialità produttiva propria dell'impresa (cfr Cassazione, pronunce n. 897/2002, n. 23857/2007, n. 1405/2013 e n. 10740/2013).
In buona sostanza, per qualificare l’operazione come cessione d'azienda o di ramo d'azienda, non è necessario che oggetto della cessione siano tutti i beni che solitamente compongono l'azienda, ma si deve appurare se nel complesso dei beni ceduti, perduri un minimo di organizzazione che da solo possa consentire di intraprendere o proseguire l'esercizio dell'attività d'impresa (Cassazione, pronunce n. 21481/2009, n. 9575/2016 e n. 22327/2022).
Per quanto concerne, in particolare, la cessione del ramo d'azienda, di cui all'articolo 2112 cc, la giurisprudenza di Cassazione ha evidenziato che rappresenta elemento integrante della cessione l'autonomia funzionale del ramo ceduto, ovvero il suo potenziale produttivo, già al momento della separazione dall’azienda cedente e, quindi, la capacità di proseguire nell’attività, indipendentemente dal complesso cedente e senza notevoli aggiunte da parte del cessionario (tra le altre, Cassazione n. 28593/2018 e n. 19034/2017).
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano, dunque, errato nelle loro valutazioni, non avendo effettuato le dovute analisi circa la presenza dei requisiti legalmente richiesti per qualificare l’operazione come cessione di ramo d’azienda.
Perché si parli di cessione di ramo d’azienda è, pertanto, necessario che i cespiti oggetto della cessione costituiscano, sin dal momento dell’operazione, un complesso di beni potenzialmente in grado di provvedere da solo all’attività d’impresa; in definitiva,“l'autonomia delle entità ceduta deve in ogni caso preesistere al trasferimento”.