Con la risposta a interpello 5 ottobre 2022, n. 491, l’Agenzia delle Entrate si è occupata della qualificazione come "sopravvenienze passive", di somme versate a titolo di risarcimento danni provocati dall'esercizio abusivo dell'attività di direzione e coordinamento, e come "perdite su crediti", di crediti oggetto di rinuncia, e loro deducibilità.
L’interpello
Nella fattispecie in oggetto la società istante ha sottoscritto nel 2017 un accordo transattivo che ha visto coinvolte altre due società, entrambe sottoposte ad amministrazione straordinaria, nell'ambito del quale la stessa società istante ha versato alle suddette degli importi e ha rinunciato al credito vantato nei confronti di una delle due società.
Con tale accordo sono stati definiti i procedimenti giudiziari per risarcimento danni promossi da una società nei confronti della società istante come responsabile in proprio, nonché in solido con l’altra società per effetto della scissione.
Pertanto, la società istante chiede conferma che i due componenti siano qualificabili, ai fini delle imposte sui redditi, rispettivamente come "sopravvenienze passive" e "perdite su crediti", deducibili in base agli artt. 101 e 109 del TUIR.
Soluzione delle Entrate
Secondo l’Agenzia delle Entrate, sono fiscalmente deducibili, ex artt. 101 (Minusvalenze patrimoniali, sopravvenienze passive e perdite) e 109 (Norme generali sui componenti del reddito d'impresa.) del TUIR:
- il versamento dell'importo effettuato in esecuzione dell'Accordo transattivo, a titolo di risarcimento, qualificabile come sopravvenienza passiva;
- la perdita su crediti derivante dalla rinuncia al credito da regresso.
Riguardo al primo componente, occorre fare riferimento al comma 4 dell'art. 101, del TUIR, secondo cui, ai fini della determinazione del reddito d'impresa, sono rilevanti le sopravvenienze passive se derivanti:
- dal mancato conseguimento di ricavi e altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi;
- dal sostenimento di spese, perdite od oneri a fronte di ricavi ed altri proventi che hanno concorso a formare il reddito in precedenti esercizi;
- dalla sopravvenuta insussistenza di attività iscritte in bilancio in precedenti esercizi diverse da quelle di cui all'art. 87 del TUIR.
Costituisce principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 5976/2015 e n. 28355/2019).) quello per cui le somme erogate, a seguito di transazioni, a titolo di risarcimento danni, costituiscano costi deducibili per l'impresa che provvede al pagamento. In presenza di transazioni stipulate dall'impresa per prevenire l'instaurazione o la prosecuzione di un contenzioso, infatti, le spese sostenute dall'impresa stessa per coprire tali costi costituiscono risarcimento del danno, deducibili dal soggetto che ha effettuato i pagamenti delle relative transazioni.
Trattandosi di somme corrisposte a titolo di risarcimento per fatti commessi nell'espletamento dell'attività anche se in violazione di obblighi contrattuali, sono qualificabili comunque come spese attinenti al concreto svolgimento dell'attività di impresa, inerenti in base all'art. 109 TUIR, deducibili come sopravvenienza passiva nell'esercizio in cui interviene la relativa spesa.
Riguardo le perdite su crediti, l'art. 101, comma 5, TUIR stabilisce, in termini generali, che sono deducibili dal reddito d'impresa se risultano da "elementi certi e precisi". Tuttavia, tali elementi di certezza e precisione si ritengono "in ogni caso" sussistenti - e quindi la corrispondente perdita su crediti assume rilevanza fiscale per presunzione assoluta di legge - in alcuni casi specifici, tra i quali, per quanto qui di interesse, rientra anche quello in cui il debitore sia assoggettato ad una delle procedure concorsuali, quali il fallimento, la liquidazione coatta amministrativa, il concordato preventivo e l'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.
La deduzione della perdita su crediti è ammessa "nel periodo di imputazione in bilancio", anche qualora detta imputazione avvenga in un periodo di imposta successivo a quello in cui, in base al medesimo comma, il debitore si considera assoggettato a una delle procedure ivi previste. Ciò sempreché l'imputazione non avvenga in un periodo d'imposta successivo a quello in cui occorre procedere alla cancellazione del credito dal bilancio, secondo la corretta applicazione dei principi contabili.