Con la risposta ad interpello del 29 dicembre 2021, n. 871, l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti sulla corretta determinazione del cosiddetto nexus ratio, con particolare riferimento alla interpretazione e alle modalità applicative dell'art. 9 del decreto interministeriale del 30 luglio 2015 (rimaste invariate anche a seguito delle revisioni apportate dal decreto interministeriale del 28 novembre 2017), in relazione alla qualificazione giuridico tributaria dei costi cosiddetti di co-promotion.
L’Agenzia delle Entrate, nel fornire la sua risposta, si è innanzitutto soffermata sulla ratio sottostante l'applicazione del nexus ratio.
In merito, nel provvedimento delle Entrate, viene evidenziato che la disciplina sul Patent box si riferisce alle indicazioni fornite dall' Action 5 intitolata Countering Harmful Tax Practices More Effectively, Taking into Account Transparency and Substance nell'ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting).
L'Action 5 BEPS si prefigge l'obiettivo di permettere che i regimi agevolativi siano applicati alle attività "sostanziali", al fine di limitare il fenomeno riguardante il trasferimento dei profitti in Paesi diversi da quelli in cui sono effettivamente generati.
Per individuare se esiste una attività economica sostanziale, l'Action 5 propone tre approcci, ma indica di utilizzare il cosiddetto nexus approach che si prefigge di assicurare che ci sia un collegamento tra l'entità delle attività di ricerca e sviluppo svolte dai contribuenti che ricevono il beneficio e il beneficio stesso.
In particolare, precisa l’amministrazione finanziaria, i benefici derivanti da un regime fiscale privilegiato in relazione agli IP devono essere subordinati allo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo da parte del soggetto che usufruisce dell'agevolazione; deve sussistere, pertanto, un collegamento tra il reddito oggetto del regime privilegiato e le spese che hanno
contribuito a tale reddito; la misura delle spese correlate direttamente alle attività di ricerca e sviluppo rappresenta sia un metro del valore aggiunto riconducibile a chi fruisce dell'agevolazione sia un'approssimazione delle attività sostanziali compiute dallo stesso.
Riassumendo, il nexus ratio è un indicatore che consente di attribuire il beneficio in esame al soggetto che sostiene i costi per l'attività di ricerca e sviluppo relativa ai beni immateriali da cui nasce il reddito agevolabile. Tali spese rappresentano un indicatore di attività economica sostanziale ai fini dell'agevolazione Patent Box.
Per quel che riguarda i costi qualificati, il già citato articolo 9 del decreto Patent Box prevede che, in linea con quanto risulta dal documento OCSE innanzi richiamato, il valore dei costi qualificati da indicare al numeratore può essere incrementato dei costi riferiti alle attività di ricerca e sviluppo addebitati da società infragruppo solo per la quota degli stessi che rappresenta un mero riaddebito di
costi sostenuti dalle stesse società del gruppo nei confronti di soggetti terzi per l'effettuazione delle predette attività di ricerca e sviluppo.
Coerentemente con lo stesso principio, il valore del numeratore può essere aumentato dei costi riferiti alle attività di ricerca e sviluppo sostenute per lo sviluppo, il mantenimento e l'accrescimento dei beni immateriali nell'ambito di accordi di ripartizione dei costi (CCA), nel limite dei proventi costituiti dal riaddebito ai partecipanti dei costi di sviluppo, mantenimento accrescimento (cfr. Circolare 11/E del
7 aprile 2016).
Con riferimento alla corretta qualificazione dei costi dico-promotion, l’Agenzia delle Entrate osserva che i Decreti Patent Box fanno esplicito riferimento ai costi riaddebitati a seguito di accordi cosiddetti di cost contribution (in breve CCA) che, secondo le Linee Guida OCSE del 2017, sono contratti stipulati dalle imprese per condividere apporti e rischi nel congiunto sviluppo, produzione od ottenimento di beni immateriali, beni materiali o servizi con l'obiettivo che tali beni immateriali, beni materiali o servizi creino benefici per l'attività d'impresa svolta da ciascuno dei partecipanti Sull’argomento, le medesime Linee Guida precisano che ciò che differenzia gli apporti in un accordo sulla ripartizione dei costi da un trasferimento ordinario infragruppo di beni o servizi è che, in parte o in tutto, la remunerazione attesa dai partecipanti è costituita dagli utili previsti per ciascuno di essi sulla base della condivisione di risorse e competenze.
Dunque, in un CCA, le parti sostengono gli oneri e condividono le conseguenze dei rischi emergenti dallo sviluppo del bene immateriale e stabiliscono che ciascuna di loro, per il tramite dei suddetti apporti, acquisisca un diritto nel bene immateriale.
Nel caso specifico portato all’attenzione dell’Agenzia delle Entrate, l’ente ha osservato come nella regolamentazione fornita non si ravvisassero previsioni contrattuali relative alla ripartizione dei rischi, fattispecie da considerare indicativa della presenza di un CCA.
Questi ultimi nel caso di specie, infatti, apparivano annullati dalla garanzia contrattuale del riconoscimento dei costi sopportati, ripartiti in base allo sforzo effettivamente sostenuto.
Si trattava infatti di una controllata e di una controllante che si riconoscevano a vicenda un corrispettivo pari alle spese sostenute dalle rispettive reti di informatori scientifici.
Grazie al meccanismo di contribuzione si ha che ciascun partecipante al C.C.A. resta inciso per una quota del costo complessivo dell'attività/progetto svolto in comune coerente e proporzionata con l'utilizzo del risultato di quanto fatto.
Per tale motivo, l’Agenzia delle Entrate ha ritenuto, nel caso portato alla sua attenzione, di non poter qualificare l'attività di co-promotion quale accordo di ripartizione dei costi per l'assenza dell'attività/progetto comune cui cooperano le Parti, in quanto, dall’istanza emergeva, semplicemente, che ciascun soggetto promuoveva i prodotti dell'altro.
Inoltre, come precisato dalle Entrate, nulla era espressamente previsto nella regolamentazione vigente tra le società né nella descrizione fatta dal contribuente in ordine alla circostanza per cui la remunerazione attesa dai partecipanti all'accordo era rappresentata dagli utili attesi da ciascuno, per quanto questi potrebbero idealmente riconoscersi nei proventi derivanti dall'accrescimento del valore dei marchi di ciascuna parte.
In definitiva, l’Amministrazione finanziaria non ha ritenuto che i costi di co-promotion oggetto del quesito potessero qualificarsi come costi derivanti da un contratto di cost contribution, ma li ha considerati quali costi connessi a vere e proprie prestazioni di servizi intercompany.
Si è escluso, dunque, che potesse applicarsi al caso l'esempio riportato nel paragrafo 14.2.6 Cost Contribution Agreement (C.C.A.) della circolare n. 11/E del 7 aprile 2016 diversamente da quanto affermava la Società.
Affinchè i costi relativi agli informatori scientifici di cui ai citati accordi di co-promotion, possano considerarsi quali costi direttamente collegati a uno specifico bene immateriale agevolato, le Entrate rammentano che, fatti salvi tutti i requisiti specifici stabiliti dalla disciplina relativa al Patent Box, è necessario che il bene sia tracciato attraverso un adeguato sistema di rilevazione contabile ed extracontabile.