Anche se il piano concordatario ha qualificato l’imponibile come credito privilegiato, per il quale è stato previsto il pagamento integrale, la variazione in diminuzione di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 deve essere rappresentativa sia della riduzione dell’imponibile che della relativa imposta.
è quanto ha chiarito l’Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 801 del 3 dicembre 2021, in merito alla disciplina della variazione in diminuzione di cui all’art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 in caso di procedura concorsuale avviata prima del 26 maggio 2021, che corrisponde alla data di entrata in vigore dell’art. 18 del D.L. n. 73/2021, con il quale è stato stabilito che la facoltà, da parte del cedente/prestatore, di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario/committente a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato ad una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis della Legge fallimentare o dalla data di pubblicazione nel Registro delle imprese del piano attestato ai sensi dell’art. 67, comma 3, lett. d), della Legge fallimentare.
Nel caso di specie, in cui la procedura di concordato preventivo è stata avviata prima del 26 maggio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che la nota di variazione può essere emessa dal cedente/prestatore solo dopo il definitivo accertamento dell’infruttuosità della procedura concorsuale, come previsto dall’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 nella formulazione in vigore prima della modifica operata dal citato art. 18 del D.L. n. 73/2021.
In merito al termine iniziale per l’emissione della nota di variazione, la risposta n. 801/E/2021 conferma che, nel caso del concordato preventivo, occorre avere riguardo, in via generale, non solo al decreto di omologazione del concordato che, ai sensi dell’art. 181 della Legge fallimentare chiude il concordato, ma anche al momento in cui il debitore adempie gli obblighi assunti nel concordato stesso. Pertanto, laddove, in caso di mancato adempimento, ovvero in conseguenza di comportamenti dolosi, venga dichiarato il fallimento del debitore, la rettifica in diminuzione può essere eseguita solo dopo che il piano di riparto dell’attivo sia divenuto definitivo, ovvero, in assenza di un piano, dopo la scadenza del termine per il reclamo avverso il decreto di chiusura del fallimento (si veda anche la C.M. n. 77/E/2000).
Nel caso in esame, nonostante quanto appena esposto, la circostanza che il piano concordatario dispone l’irreversibile falcidia dell’80% del credito chirografario anche nell’ipotesi di fallimento del debitore, ha portato l’Agenzia delle Entrate a ritenere ammissibile l’emissione della nota di variazione una volta avvenuta l’omologa del concordato e la soddisfazione dei crediti concordati.
In coerenza con l’indicazione contenuta nella risoluzione n. 127/E/2008, l’Agenzia ha, inoltre, escluso che, come prospettato dall’istante, la variazione in diminuzione possa essere riferita alla sola imposta. Anche, quindi, se il piano concordatario ha qualificato l’imponibile come credito privilegiato, per il quale è stato previsto il pagamento integrale, la variazione in diminuzione di cui all’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 deve essere rappresentativa sia della riduzione dell’imponibile che della relativa imposta. Una nota di variazione che tenesse conto della sola imposta non riscossa andrebbe, pertanto, a scindere l’indissolubile collegamento esistente tra imposta ed operazione imponibile.