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Riscatto della laurea pagato dall’impresa

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Riscatto della laurea pagato dall’impresa

mercoledì, 04 novembre 2020

Con la Risposta a interpello 21 ottobre 2020, n. 490, l’Agenzia delle Entrate ha precisato che le somme che il datore di lavoro versa, all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, all’INPS per il riscatto della laurea dei dipendenti prossimi alla pensione, insieme all’incentivo all’esodo, sono soggette a tassazione separata.

La fattispecie

Nel caso esaminato nell’interpello in oggetto, una società istante ha intenzione di sottoscrivere un accordo con le rappresentanze sindacali aziendali per la cessazione volontaria ed incentivata del rapporto di lavoro di alcuni dipendenti prossimi al raggiungimento dei requisiti pensionistici. Nell'ambito dell'accordo si sta valutando l'opportunità di offrire ai dipendenti che ne avessero interesse la possibilità di riscattare i periodi d'istruzione universitaria (art. 2, comma 5-quater, D.Lgs. n. 184/1997). In particolare, la società, nell'ambito dell'offerta economica riconosciuta per l'uscita dei lavoratori, consentirà a questi ultimi di percepire, entro il limite massimo equivalente a 12 mensilità della Retribuzione Annuale Lorda di riferimento di ciascun singolo dipendente, una somma da destinare al pagamento dei contributi previdenziali necessari per il riscatto agevolato del corso di laurea.

L’Agenzia Entrate, nella sua risposta, è partita dal fatto che ricadono nell’ambito di applicazione dell’art. 51, comma 2, lett. a), del TUIR, e quindi non concorrono alla formazione del reddito di lavoro, i contributi previdenziali obbligatori, che devono essere tenuti distinti da quelli facoltativi (o volontari) ovvero quelli versati facoltativamente alla gestione pensionistica obbligatoria di appartenenza, tra cui sono da ricomprendere quelli versati per il riscatto della laurea, che sono deducibili dal reddito complessivo ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. e), TUIR. 

La deducibilità può essere riconosciuta dal datore di lavoro per effetto dell’art. 51, comma 2, lett. h), TUIR, la cui finalità è quella di evitare che il lavoratore presenti la dichiarazione dei redditi al solo fine di fruire degli oneri deducibili di cui il datore di lavoro ne è a conoscenza, avendo effettuato le trattenute.

Sempre secondo l’Agenzia delle Entrate, le indennità e le somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione del rapporto di lavoro dipendente, a norma dell’art. 17, comma  1, lett. a), del TUIR, sono qualificate come reddito di lavoro dipendente, che secondo l’art.19, comma 2, del TUIR, sono imponibili per il loro ammontare complessivo, al netto dei contributi obbligatori per legge.

Dal combinato disposto delle predette disposizioni (artt. 17, comma 1, lett. a), e 19, comma 2, del TUIR) risulta che l’incentivo all’esodo, compresa la quota destinata a riscattare la laurea, deve essere assoggettata a tassazione separata con l'aliquota applicata al TFR (cfr. sul punto Circolare, n. 10/E/2007).

L’Agenzia non condivide invece la soluzione avanzata dalla società (che intendeva riconoscere in sede di conguaglio fiscale di fine rapporto la deduzione dell'onere per la contribuzione volontaria) sia per la formulazione del comma 2 dell'art. 19 del TUIR che esclude dalla base imponibile i soli contributi obbligatori, sia perché essendo l'incentivo all'esodo assoggettato a tassazione separata, l’art. 51, comma 2, lett. h), del TUIR (secondo  cui non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente, tra l'altro, le somme trattenute al dipendente per oneri di cui all'art. 10 e alle condizioni ivi previste) non può trovare applicazione dal momento che persegue finalità non conciliabili con emolumenti che non concorrono alla formazione del reddito complessivo, come l'incentivo all'esodo in esame. 

Infine, viene precisato che le somme destinate al pagamento dei contributi necessari al riscatto della laurea, configurandosi come un incentivo all’esodo, costituiscono una controprestazione per agevolare la risoluzione del rapporto di lavoro, con la conseguenza che sono deducibili, ai fini IRES, come componente negativo del reddito d’impresa.

 

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