Con ordinanza 26 maggio 2020, n. 9809, la Corte di Cassazione si è occupata di una controversia relativa all’individuazione della retribuzione imponibile a fini contributivi dei lavoratori all’estero.
La questione
Sunteggiando, nel caso di specie, l'oggetto del processo nei gradi di merito è riferito all'accertamento della natura giuridica delle prestazioni economiche effettuate da Unicredit in favore del dipendente durante la sua permanenza presso due sue filiali europee ai fini dell’imposizione contributiva corrispondente e, dunque, il nuovo profilo di diritto, relativo alla pretesa applicabilità dell'art. 36 della legge n. 342/2000 (relativo a redditi da lavoro dipendente prodotto all'estero) e la conseguenziale correttezza dell'adempimento effettuato.
La Unicredit ricorre per Cassazione contestando, per quanto qui di interesse, violazione dell'art. 12 legge n. 153/1969, dell'art. 48, commi 8 e 8-bis, TUIR e dell'art. 36 legge n. 342/2000, per avere la Corte di merito assoggettato a contribuzione l'intero importo degli emolumenti corrisposti al dipendente inviato a lavorare all’espero presso sue filiali, disattendendo, in riferimento al periodo successivo al 31 dicembre 2000, la disciplina della base imponibile, modificata dalla legge n. 342/2000 e introdotta con il comma 8-bis dell'art. 48 (oggi 51) TUIR.
Il giudizio di Cassazione
Nel decidere la vertenza, il motivo del ricorso datoriale, riferito all’individuazione della disciplina applicabile alla fattispecie di lavoro svolto all'estero oggetto del giudizio ed alla sussunzione della concreta fattispecie in tale disciplina, è ritenuto infondato dalla Corte di Cassazione, argomentando che ai fini dell’individuazione della base imponibile per la determinazione dei contributi previdenziali dovuti in relazione alla posizione di lavoratori italiani che prestano attività lavorativa all’estero, deve aversi riguardo alla retribuzione effettivamente corrisposta e non alle retribuzioni convenzionali individuate con i decreti ministeriali richiamati dall’art. 4, comma 1, del D.L. n. 317/1987, non essendo applicabile il comma 8-bis dell’art. 48 del D.P.R. n. 917/1986, vigente ratione temporis (ora art. 51), introdotto dall’art. 36 della legge n. 342/2000, che opera esclusivamente a fini fiscali e non incide sulla determinazione della retribuzione imponibile a fini contributivi (Cass. n. 17646/2016; n. 30427/2017).
Trattasi dei decreti con cui il Ministro del Lavoro e della Previdenza sociale, di concerto con il Ministro del Tesoro e con quello delle Finanze fissano le retribuzioni convenzionali su cui calcolare i contributi dovuti.
Il principio affermato dal giudice di legittimità consegue a ragioni di ordine sistematico giacché l’art. 36 della legge n. 342/2000 risponde a logiche peculiari del sistema fiscale, si afferma in motivazione, richiamando il limite temporale dei 183 giorni e la nozione di residenza fiscale, estranea alla materia previdenziale, e il suo contenuto, che fa riferimento ai decreti ministeriali previsti dall’art. 4 del D.L. n. 317/1987, non mette in discussione l’impianto complessivo del sistema previdenziale in cui tali decreti ministeriali operano e che fu costituito, sul presupposto della sentenza della Corte costituzionale n. 369/1985, al fine di tutelare il lavoratore italiano inviato all’estero in Paesi con i quali l’Italia non avesse stipulato una convenzione di sicurezza sociale, ipotesi estranea alla fattispecie in esame.
La questione qui scrutinata attiene, infatti, all'ambito di applicazione del comma 8-bis dell'art. 51 del TUIR, il quale dispone che in deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, é determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'art. 4, comma 1, del D.L. n. 317/1987 (legge n. 398/1987).
Nella fattispecie, il giudizio di merito non ha provato che le somme percepite in eccedenza - rispetto all'importo della retribuzione che il dipendente avrebbe percepito se avesse lavorato in Italia - avessero natura di indennità per temporanea destinazione estera, diretta a compensare forfettariamente gli oneri connessi allo svolgimento dell'attività lavorativa nella sede estera. Quindi la Corte territoriale ha affermato che il trattamento economico aggiuntivo aveva natura interamente retributiva, riferendosi ai principi giurisprudenziali di legittimità secondo cui anche le voci del trattamento economico formalmente non legate al valore professionale della prestazione, ma giustificate coi disagi o maggiori spese a carico del lavoratore, assumono natura retributiva se non costituenti rimborso spese.
Pertanto, nessuna deroga totale o parziale (reciprocamente riferite all'eventuale natura di rimborso spese o di indennità di trasferta), poteva applicarsi alla controversia che restava regolata dall'art. 12 della legge n. 153/1969, rendendo inapplicabile l'assetto normativo dell'indennità di trasferta determinatosi con l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 314/1997 e con le modifiche apportate all'art. 48 TUIR nei diversi commi relativi alle tassative ipotesi di esenzione calcolate sulla retribuzione giornaliera corrisposta al dipendente inviato in trasferta, o alla previsione che non concorrono a formare il reddito gli assegni di sede e le altre indennità percepite per i servizi prestati all'estero fino al 50% del loro ammontare o ancora al comma 8-bis che disciplina il regime contributivo del personale stabilmente impiegati all'estero.
Peraltro, conclude la Cassazione, per principio consolidato, laddove si versi in situazione di eccezione in senso riduttivo dell’obbligo contributivo, grava sul soggetto che intenda beneficiarne l’onere di provare il possesso dei requisiti che, per legge, danno diritto all’esonero (o alla detrazione) di volta in volta invocata (cfr. Cass. n. 5137/2006; n. 16351/2007; n. 499/2009; n. 21898/2010), ponendo sul datore di lavoro che pretenda di avere accesso ai benefici contributivi previsti in caso di trasferta dei dipendenti o di rimborso per spese di viaggio, l'onere di dimostrare la causa dell'esonero dell'assoggettamento a contribuzione (Cass. n. 16639/2014).