La Cass. Civ., sez. lavoro, con ordinanza n. 10536 del 3 giugno 2020, ha stabilito che la risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all'arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative, essendo irrilevante il fatto che il recesso dal patto sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro.
Fatto e questioni di diritto
Una lavoratrice agiva dinanzi il Tribunale di Reggio Emilia al fine di ottenere il riconoscimento della indennità per il patto di non concorrenza post-contrattuale nei due anni successivi alla cessazione del suo rapporto di lavoro; la ricorrente fondava le proprie ragioni sul presupposto che la risoluzione del patto di non concorrenza attuata unilateralmente dal suo datore in costanza del rapporto di lavoro era da considerarsi nulla, perché contraria a norme imperative, con conseguente invalidità del recesso operato dalla società nel corso del rapporto.
Il Giudice di prime cure emetteva sentenza di accoglimento della domanda, sentenza che poi veniva appellata innanzi la Corte territoriale di Bologna dal datore di lavoro. Il formulato appello veniva rigettato, tanto che il datore di lavoro proponeva ricorso innanzi la Corte di Cassazione al fine di vedere riformata la pronuncia di condanna a suo carico, deducendo, tra gli altri motivi di gravame, che la giurisprudenza citata nella pronunzia impugnata si riferisse ai soli casi di recesso dal patto di non concorrenza comunicato successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro, e non in corso di rapporto.
La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 10536 del 2020 ha rigettato il ricorso e confermato le statuizioni dei precedenti gradi di giudizio.
La pronuncia al nostro esame, nel richiamare precedente giurisprudenza di legittimità, chiarisce che l'obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge sin dall'inizio del rapporto di lavoro; affetta da nullità, quindi, è da considerarsi la clausola, inserita nel contratto di lavoro, che riconosce al datore la libertà di risoluzione del patto di non concorrenza, anche laddove il recesso dal patto di non concorrenza post-contrattuale sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro. Ciò in quanto, per entrambe le parti del contratto, gli obblighi- e quindi anche quello relativo al patto di non concorrenza- si cristallizzano al momento della sottoscrizione del contratto.
La previsione normativa del patto di non concorrenza è contenuta nell’art. 2125 c.c.; in virtù della richiamata disposizione codicistica il patto con il quale si limita lo svolgimento dell'attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
Dunque, l’inserimento nel contratto di un patto di non concorrenza - che cristallizza l’obbligo contrattuale al momento della sottoscrizione - impedendo al lavoratore la libertà di progettare parte del proprio futuro lavorativo - è legittimo solo ove, a fronte di detta compromissione, sia previsto un corrispettivo a carico del datore. Onere che finirebbe con l'essere eluso laddove al datore di lavoro venisse concesso di sciogliersi ex post dal vincolo.
La ordinanza in oggetto, quindi, ribadisce il principio - già riconosciuto in giurisprudenza - secondo cui l'obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge sin dall'inizio del rapporto di lavoro, impedendo al lavoratore la libertà di progettare parte del proprio futuro lavorativo; risulta, quindi, tamquam non esset la successiva rinuncia al patto stesso, proprio perché è affetta da nullità la clausola che riconosce al datore di lavoro la libertà di sciogliersi dal patto, facendone cessare ex post gli effetti, invero già operativi.
Su tali presupposti, la Suprema Corte, quindi, ha rigettato il ricorso della società datrice di lavoro, confermando l’obbligo della stessa al versamento dell’importo contrattualmente pattuito.