La Corte di Cassazione, con sentenza n. 27388 del 25 ottobre 2019, ha affermato che è di natura subordinata l’attività del professionista i cui contratti, susseguitisi con lo stesso datore, non prevedano attività esercitabili unicamente da professionisti iscritti ad un Albo.
IL FATTO
Un architetto deduceva davanti al Tribunale di Roma di aver lavorato presso una società in base a sette contratti di consulenza privi di specifici progetti e chiedeva, dunque, che venisse dichiarata la natura subordinata di tale rapporto di lavoro con condanna della società al pagamento delle relative differenze retributive.
Il Tribunale respingeva la domanda, ritenendo operante la deroga della disciplina del contratto a progetto, ex art. 61 del d.lgs. n. 276/2003, trattandosi di rapporto di lavoro con professionista ed escludendo comunque la natura subordinata del rapporto lavorativo.
L'architetto proponeva, quindi, appello.
La Corte d'Appello di Roma riformava la sentenza impugnata, dichiarando l'esistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, condannando la società al pagamento delle relative differenze retributive.
La Corte di merito riteneva, infatti, ammissibile e fondata la censura di applicabilità della deroga di cui al comma 3, art. 61, d.lgs. 276/2003, dal momento che almeno i primi quattro contratti non risultavano stipulati dall'architetto in qualità di professionista. Tali contratti, inoltre, difettavano di uno specifico progetto.
La società proponeva, dunque, ricorso per Cassazione.
LA DECISIONE DELLA CASSAZIONE
La Suprema Corte sottolineava che la deroga alle norme previste per i co.co.pro., ex art. 61, comma 3, D.Lgs. n. 276/2003, non deve fondarsi sulla mera qualifica di professionista, non è connessa soltanto allo status di lavoratore intellettuale o alla qualifica di professionista.
Riprendendo quanto affermato dalla Corte di merito, la Cassazione sottolinea che almeno i primi quattro contratti, succedutosi tra le parti, non risultano stipulati in qualità di professionista e la mancanza di uno specifico progetto fa scattare la conversione del contratto a tempo indeterminato.
La Corte ritiene non condivisibile la tesi sostenuta dalla società secondo cui la deroga prevista dal d.lgs. 276/2003 alle regole per le co.co.pro. sarebbe prevista soltanto sulla base del titolo o di un presunto status di professionista: la mancata conversione a tempo indeterminato si giustifica con lo svolgimento di un'attività di lavoro autonomo, che può oggettivamente essere svolta solo da un professionista iscritto ad un Albo. Conta dunque il dato oggettivo e non la qualifica.
La Cassazione rigetta quindi il ricorso e condanna la società al pagamento delle spese del giudizio e, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.p.r. n. 115/02, nel testo risultante dalla l. 228/12, del contributo unificato aggiuntivo.