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Reversibilità: basta un solo giorno di matrimonio

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Reversibilità: basta un solo giorno di matrimonio

giovedì, 24 ottobre 2019

Una signora di 58 anni vuole sposare un uomo di 78 anni, vent’anni più anziano di lei. Come andrà a finire la pensione ai superstiti? La signora avrà il diritto? La risposta è una sola: sì. L’interessata non ha nulla da temere sotto questo aspetto. Questo caso fa sorgere la domanda: quanto deve durare un matrimonio per poter “produrre” la pensione?

Con l’attuale normativa la risposta è semplice: basta avere detto sì e il sacerdote o l’ufficiale di stato civile hanno dichiarato due persone unite in matrimonio (stesso discorso anche per i cosiddetti uniti civili) per vantare il diritto alla pensione di reversibilità.

Un tempo non era così. Nello Stato il matrimonio di un pensionato oltre i 72 anni non permetteva di avere la pensione se il rapporto se il rapporto non fosse durato almeno due anni. Il requisito era posto per evitare i “matrimoni di comodo”, quelli fatti quasi sul letto di morte per consentire al coniuge (in genere una donna molto più giovane del defunto) di continuare a percepire una pensione che altrimenti non sarebbe mai nata. Questo requisito – per alcuni versi molto realistico, per altri oltraggioso della libertà personale del cittadino – è stato a suo tempo travolto dalla Corte costituzionale con Sent. n. 189/1991.

Successivamente con una norma dell’anno 2012 ha introdotto il blocco della pensione nella misura intera, nei casi in cui il pensionato deceduto si fosse sposato dopo i 70 anni e la differenza di età tra i due partner fosse superiore ai 20 anni. Ma stavolta non è stato stabilito di togliere la pensione del tutto, proprio per non incorrere nelle “ire” dei giudici della Consulta: si è imposto di pagare l’intera prestazione solo se le nozze fossero durate almeno 10 anni. Per ogni anno di minore durata c’era la perdita del 10% dell’assegno mensile. Per dire: nozze durate soli 6 anni riducevano la pensione del 40%. 

Con questo risultato (è un esempio): pensione del defunto: 2.000 euro; pensione del coniuge superstite: 1.200 euro (60%); pensione ridotta del 40%: pagamento effettivo 720 euro (pari al 36% della pensione iniziale del defunto). Tutto ciò però non veniva applicato ove contitolari di pensione fossero uno o più figli (minorenni, o studenti, o universitari, o inabili) con diritto alla pensione.

Nonostante l’accortezza di non eliminare la pensione ma solo di ridurne l’importo la vicenda è stata di nuovo rappresentata alla Corte costituzionale, la quale ha riconfermato il principio: nessuna ingerenza di natura morale (anzi, moralistica) nel riconoscimento della pensione. La misura restrittiva nasceva dalla presunzione che quei tipi di matrimoni traevano origine dall’intento di frodare lo Stato. Una presunzione assoluta di frode alla legge, che precludeva ogni prova contraria.

E così la Consulta ha tolto di mezzo anche questa restrizione con Sent. n. 174/2016. Risultato? La pensione è dovuta anche se il coniugio è durato pochi mesi (al limite un solo giorno, anzi un solo minuto) nei riguardi anche di persone con una forte differenza di età. La pensione è dovuta sempre, indipendentemente dall’età. 

Ma, a nostro modo di vedere, i giudici nelle ultime righe della sentenza hanno dato una “dritta” a Governo e Parlamento per attenuare la completa liberalizzazione. La pensione ai superstiti potrebbe essere ridotta per situazioni generali e astrattamente valide per tutti, quali ad esempio un requisito minimo di convivenza. In sostanza l’eventuale riduzione dovrebbe essere collegata alla durata delle nozze e non all’età degli sposi.

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