Il 31 luglio scorso, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20636, si è pronunciata sul ricorso di una società avverso la decisione della CTR della Campania che aveva parzialmente accolto le motivazioni che l’Agenzia delle Entrate aveva evidenziato nel ricorso in appello contro la decisione della CTP di Salerno, la quale, a sua volta aveva accolto parzialmente il ricorso di una società contro tre avvisi di accertamento, uno dei quali avente ad oggetto l’assoggettamento ad Iva dei premi, sconti e abbuoni che la società aveva ricevuto a fine anno.
La società ricorrente lamentava che la CTR nella sua pronuncia avesse erroneamente deciso che la stessa, quale fruitrice di bonus condizionati al raggiungimento di un obiettivo quantitativo, avesse dovuto emettere, nei confronti del fornitore e/o cedente, fatture con l’applicazione dell’I.V.A., violando pertanto gli artt. 19 e 26 del d.P.R. n. 633 del 1972.
La Cassazione ha però ritenuto valida la suddetta pronuncia, in quanto ha precisato che, in materia di bonus o premi occorre distinguere tra:
- bonus quantitativi, ossia erogazioni versate a fronte dell'attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario e incidente direttamente sul volume d'affari dell'impresa fornitrice/concedente;
- bonus qualitativi, rispetto ai quali le erogazioni sono corrisposte non a fronte dell'attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario, ma con riferimento ad attività collaterali e distinte dalla prestazione principale, quali azioni dirette all'espansione delle vendite, lo svolgimento di attività di marketing ovvero di attività legate, direttamente o indirettamente, alla fidelizzazione della clientela;
- bonus cd. misti, per i quali l'erogazione è condizionata al raggiungimento di obbiettivi di natura sia quantitativa che qualitativa (cfr. Cass., Sez. 5, 28.6.2017, n. 16128).
Quanto ai bonus quantitativi, continua la Cassazione, essi consistono in una remunerazione della stessa attività svolta in via ordinaria, di conseguenza da un punto di vista fiscale si applica ad essi l’art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, ossia il trattamento riservato agli abbuoni o sconti. Medesima situazione si verifica per la terza ipotesi (cfr. Cass. n. 11398 del 2015) laddove il riconoscimento dello sconto sia collegato ad obbligazioni qualitative funzionali alla realizzazione dell’obbiettivo quantitativo.
Per quanto riguarda invece i bonus qualitativi, la prestazione è soggetta al regime ordinario nel caso in cui sussista un rapporto di corrispettività tra la somma corrisposta dal fornitore dei beni e lo svolgimento, da parte del soggetto percettore, di specifiche obbligazioni di fare, riconducibili alla categoria dei servizi, la cui definizione si rinviene nell'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 cit. (che così dispone "Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte").
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno condiviso le argomentazioni dei giudici d’appello, ritenendo che i premi erogati a vantaggio della società ricorrente, fossero da classificare quali bonus quantitativi - in quanto si trattava di premi sul quantitativo acquistato - da cui derivava un beneficio all’acquirente (ossia la società ricorrente), pertanto per loro natura da assoggettare a tassazione I.V.A.
Bene dunque, secondo la Cassazione, ha fatto la Corte d’appello nel ritenere che la società fruitrice dei bonus abbia errato nel ricorrere all'emissione di una fattura senza applicazione dell'I.V.A., quando invece avrebbe dovuto ricevere una nota di credito (con esposizione dell'I.V.A. relativa), per l'importo del premio maturato sul quantitativo di acquisti effettuati...a nulla rilevando i diversi accordi intercorsi tra le parti.
Infine, a parere della Cassazione, in tale circostanza specifica, non rileva neanche l'eventuale stato di buona fede del cessionario né, può ritenersi che l'operazione posta in essere dalla contribuente non arrecherebbe comunque danno all'erario, considerando peraltro quanto recentemente disposto dalla CGUE nella sentenza dell’8 maggio 2019, causa C-712/17, in cui i giudici hanno, sostanzialmente, chiarito che, per quanto concerne il trattamento di un'IVA indebitamente fatturata per l’assenza di un'operazione imponibile, fatto salvo il diritto per il soggetto passivo di ottenere dal proprio fornitore, con gli strumenti a tal fine previsti dal diritto nazionale, la restituzione dell'acconto versato per la cessione di beni in definitiva non effettuata, il fatto che l'IVA dovuta da tale fornitore non sia stata essa stessa rettificata, non incide sul diritto dell'amministrazione finanziaria di ottenere la restituzione dell'IVA detratta da tale soggetto passivo a titolo del versamento dell'acconto corrispondente a tale cessione.