Con la sentenza dello scorso 17 luglio 2019 n. 19255, la Corte di Cassazione ha dato conferma al suo orientamento relativamente all’abrogazione, ad opera dell’art. 4 del nuovo Regolamento generale della Cassa forense, dell’art. 21 della L. n. 576/1980, riferito alla possibilità di chiedere la restituzione dei contributi versati dagli avvocati a Cassa forense in assenza dei requisiti di pensionabilità alla data di cancellazione dalla Cassa.
Sul tema, i giudici di legittimità, nella questione che ci occupa, hanno rimarcato, come del resto già era accaduto nel 2018 in un caso simile portato davanti alla Corte di Cassazione (Cass. Sez. Lav. N. 4980/2018), il fatto che deve ritenersi legittimo l’art. 4 del Regolamento generale della Cassa forense con cui si stabilisce il divieto del rimborso dei contributi versati – principio generale del sistema previdenziale –in virtù del quale è stata abrogata la disposizione di cui all’art. 21 della legge n. 576/1980, che consentiva la ripetizione del contributo soggettivo in assenza dei requisiti di pensionabilità alla data di cancellazione dall’ente previdenziale ad opera del professionista.
La legittimità della norma si fonda sul potere di delegificazione concesso agli enti previdenziali privatizzati dall’art. 3 comma 12 della l. n. 335/1995, finalizzato ad assicurare equilibrio di bilancio e stabilità nel proprio ambito di competenza.
Del resto, sottolineano i giudici confermando la posizione della Cassa ricorrente, la contribuzione restituibile ex art. 21 della legge n. 576/1980 era esclusivamente riferita al contributo soggettivo di cui all’art. 10 della stessa norma; le due quote di tale contributo nulla hanno a che fare con la contribuzione dovuta alla Cassa, ossia il contributo integrativo e quello di maternità che non rientrano nella sfera di applicazione dell’abrogato articolo 21.