I periodi di lavoro all’estero in paesi diversi dagli stati membri dell’Europa e da quelli che hanno stretto convenzioni di sicurezza sociale con Italia (Usa, Australia, Canada, Argentina, Brasile, ecc) non possono essere cumulati o totalizzati con quelli italiani e quindi sono perduti ai fini della pensione italiana. Per superare l’inconveniente il lavoratore deve chiederne il riscatto. E questa operazione non annulla i versamenti esteri: perciò per uno stesso periodo l’interessato avrà due distinte assicurazioni, che potrà far valere in Italia e nell’altro Paese, secondo le leggi nazionali.
Per il riscatto è necessario presentare all’INPS la domanda corredata dai documenti che oggettivamente e senza ombra di dubbio provino che il rapporto di lavoro estero sia davvero esistito e durato per tutto il tempo indicato dall’interessato. E deve essere provata anche l’esistenza e la misura della retribuzione riscossa.
Vanno benissimo i documenti originali di lavoro, quali le lettere di ingaggio, la comunicazione di assunzione e di termine lavoro, ovviamente le buste paga e altre dichiarazioni aziendali dell’epoca. In alternativa si possono presentare dichiarazioni delle autorità consolari italiane o di pubbliche amministrazioni straniere che controllano l’immigrazione. Dei documenti stranieri va fornita anche la traduzione in italiano, convalidata dall’Ambasciata o dal Consolato italiani. Oppure da traduttori italiani autorizzati a fare ciò.
Non è facile presentare i documenti alternativi se non ci sono quelli originali. Per superare questo handicap è ammesso che il datore di lavoro straniero presenti una dichiarazione “ora per allora”, confermando l’esistenza e la durata del rapporto di lavoro. Ma in questo caso la dichiarazione va convalidata nel merito dal consolato italiano, per evitare che siano fornite prove false. Vanno presentati anche i documenti ufficiali che comprovino la data di espatrio e di rimpatrio.