Un lavoratore presenta le dimissioni all’azienda per poi ottenere la pensione. È una procedura banale e facile, ma solo all’apparenza. Si devono infatti rispettare i tempi stabiliti simultaneamente dalla legge, dal contratto collettivo di lavoro di categoria, dalla normativa previdenziale.
Punto primo. Chi presenta le dimissioni deve farlo in anticipo (di quanto? lo stabilisce ogni singolo contratto collettivo o aziendale) rispetto al momento di lasciare effettivamente il lavoro. E se non lo fa scatta l’onere di pagare l’indennità di mancato preavviso durante il decorso della quale è come se continuasse a lavorare, e dunque impossibilitato a chiedere la pensione.
Punto secondo. Le dimissioni (e le risoluzioni consensuali) devono essere comunicate preventivamente agli uffici del Ministero del lavoro, presentando un apposito modulo sul quale deve essere indicata la data dalla quale il rapporto di lavoro cessa, vale a dire il primo giorno di mancato svolgimento del lavoro dipendente. Secondo il Ministero la data è quella successiva all’ultimo giorno di lavoro. Esempio: termine dell’attività 30 giugno, dimissioni 1° luglio.
Punto terzo. Per poter avere la pensione è necessario presentarsi “non occupato” al momento della decorrenza della prestazione. Ma sarebbe sbagliato riportare sul modulo INPS la stessa data indicata sul modulo ministeriale. Se infatti segnalassimo all’INPS, per tornare all’esempio, la data del 1° luglio la pensione automaticamente partirebbe dal 1° agosto. Perciò – attenti a non sbagliare – la data “significativa” per l’INPS è il 30 giugno, di modo che la pensione sarà liquidata correttamente dal 1° luglio.
A questo punto nascerà di nuovo il diritto al lavoro senza perdere la pensione:
- direttamente dallo stesso 1° luglio se la persona verrà assunta da altra azienda;
- quanto meno dal 2 luglio se l’interessato verrà di nuovo preso in carico dalla stessa azienda, sempreché dimostri con i documenti che l’operazione rispetta tutte le regole della legge.