Il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro 12 febbraio 2018 per i dipendenti pubblici si occupa anche del congedo a favore delle lavoratrici inserite nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, debitamente certificati. Le interessate hanno diritto ad astenersi dal lavoro, per motivi connessi a tali percorsi, per un periodo massimo di congedo di 90 giorni lavorativi, da fruire nell’arco temporale di tre anni, decorrenti dalla data di inizio e della fine del relativo periodo.
Salvo i casi di oggettiva impossibilità, la dipendente deve farne richiesta scritta al datore di lavoro corredata della certificazione attestante l’inserimento nel percorso di protezione con un preavviso non inferiore a sette giorni di calendario e con l’indicazione dell’inizio e della fine del relativo periodo.
Il trattamento economico spettante alla lavoratrice durante il periodo di assenza è quello previsto per il congedo di maternità. La lavoratrice può scegliere di fruire del congedo su base oraria o giornaliera nell’ambito dell’arco temporale dei tre anni previsti. Il congedo su base oraria è calcolato in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del mese immediatamente precedente a quello in cui ha inizio il congedo.
La dipendente ha anche diritto:
- alla trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale e, se lo chiede, al ripristino a tempo pieno;
- a presentare, se vuole, domanda di trasferimento ad altra amministrazione pubblica ubicata in un Comune diverso da quello di residenza, previa comunicazione all’amministrazione di appartenenza. Entro quindici giorni dalla comunicazione, l’amministrazione di appartenenza dispone il trasferimento presso l’amministrazione indicata dalla dipendente, sempreché vi siano posti vacanti corrispondenti alla sua area o categoria.
I congedi in esame possono essere cumulati con l’aspettativa per motivi personali e familiari per un periodo di ulteriori trenta giorni. Da ultimo il contratto consiglia alle amministrazioni di “chiudere un occhio”, nel senso di preoccuparsi di agevolare l’aspettativa, anche se non è rispettato il principio secondo cui il dipendente, rientrato in servizio, non può fruire continuativamente di due periodi di aspettativa, anche richiesti per motivi diversi, se tra essi non ci sono almeno quattro mesi di servizio attivo.