Il trattamento di fine rapporto è a tutti gli effetti un credito che il lavoratore matura già in costanza di rapporto di lavoro, sebbene la sua esigibilità sia subordinata al momento della cessazione del rapporto stesso. Poiché i presupposti per l’assoggettabilità di un credito a pignoramento sono solamente la certezza del credito e la sua liquidità (o liquidabilità in base a parametri oggettivi), ma non la sua esigibilità, nulla osta alla pignorabilità del trattamento di fine rapporto, fermo restando che l’ordinanza di assegnazione non potrà essere eseguita prima che maturino le condizioni per il pagamento.
Tale principio va tenuto fermo pur dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti per il trattamento di fine rapporto sul Fondo Tesoreria dello Stato costituito presso l’INPS. Infatti, pur nel nuovo e più composito panorama normativo (che prevede altresì la possibilità per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare), resta fermo il fatto che il trattamento di fine rapporto costituisce, a tutti gli effetti, un credito che il lavoratore matura già in costanza di rapporto di lavoro. Infatti, poiché il terzo pignorato viene giudizialmente ceduto al creditore procedente, egli potrà opporre a quest’ultimo tutte le eccezioni che poteva opporre al proprio creditore originario (ossia al debitore esecutato), ivi inclusa la non esigibilità delle somme.
Il problema della pignorabilità del TFR si colloca semmai sul piano soggettivo, poiché il soggetto che erogherà il trattamento potrebbe essere diverso dal datore di lavoro.
Tanto chiarito, in relazione ai lavoratori dipendenti del settore privato, la questione non si pone in termini diversi per i dipendenti pubblici. Infatti, l’originario regime di impignorabilità del trattamento di fine servizio è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con le sentenze della C.Cost. n. 99 del 1993 e 225 del 1997.