La sospensione dell’IVA all’importazione, prevista per i beni di provenienza extracomunitaria oggetto di immissione in libera pratica con prosecuzione verso altro Paese membro dell’Unione europea, si applica anche se il numero di identificazione IVA del cessionario indicato nella dichiarazione di importazione è diverso da quello attribuito al destinatario effettivo dei beni.
Con questa conclusione, resa nella causa C-108/17 del 20 giugno 2018, la Corte di giustizia si è espressa in merito alle condizioni applicative dell’esenzione prevista dall’art. 143, par. 1, lett. d), e par. 2, della Direttiva n. 2006/112/CE
In base a tali disposizioni, recepite in Italia dall’art. 67, commi 2-bis e 2-ter, del D.P.R. n. 633/1972, gli Stati membri esentano dall’IVA le importazioni di beni inviati a partire da un Paese extra-UE in un Paese UE diverso da quello di arrivo dei beni stessi, se la loro cessione, effettuata dall’importatore è esente in conformità all’art. 138 della Direttiva.
La sospensione d’imposta presuppone, allo stesso tempo, che:
- la cessione dei beni oggetto di importazione sia esente, “in senso stretto” o “per assimilazione”, ai sensi, rispettivamente, dell’art. 138, par. 1, e dell’art. 138, par. 2, lett. c), della Direttiva n. 2006/112/CE;
- l’importatore abbia fornito alle Autorità doganali del Paese UE di importazione le informazioni riguardanti:
- il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nel Paese membro di importazione o il numero di identificazione IVA attribuito al suo rappresentante fiscale, debitore dell’imposta nel Paese membro di importazione;
- il numero di identificazione IVA dell’acquirente cui i beni sono ceduti a norma dell’art. 138, par. 1, attribuitogli in altro Paese membro o il numero di identificazione IVA che gli è stato attribuito nel Paese membro di arrivo del trasporto/spedizione quando i beni sono soggetti a un trasferimento a “se stessi”, cioè a norma dell’art. 138, par. 2, lett. c);
- su richiesta delle Autorità doganali, la prova che i beni importati sono destinati ad essere trasportati/spediti a partire dal Paese membro di importazione verso un altro Paese membro.
Fermo restando che l’esenzione dell’importazione è collegata all’esistenza, a valle, di una cessione intracomunitaria, nella fattispecie oggetto della pronuncia della Corte si è trattato di stabilire se le Autorità dello Stato membro di importazione possano subordinare la sospensione dell’IVA all’importazione di beni alla condizione che l’importatore comunichi, al momento dell’immissione in libera pratica, il numero di identificazione IVA del destinatario della cessione intracomunitaria.
In esito all’analisi compiuta, i giudici dell’Unione hanno affermato che le disposizioni della Direttiva n. 2006/112/CE in precedenza richiamate “ostano a che le autorità competenti di uno Stato membro rifiutino di concedere l’esenzione dall’IVA all’importazione per il solo motivo che, a seguito di un mutamento di circostanze intervenuto successivamente all’importazione, i prodotti di cui trattasi sono stati ceduti a un soggetto passivo diverso da quello il cui numero di identificazione IVA era stato indicato nella dichiarazione d’importazione, allorché l’importatore ha comunicato tutte le informazioni relative all’identità del nuovo acquirente alle autorità competenti dello Stato membro di importazione, purché sia dimostrato che le condizioni sostanziali per l’esenzione della cessione intracomunitaria successiva siano effettivamente soddisfatte”.
Tale conclusione discende dal consolidato orientamento della giurisprudenza unionale in base al quale l’esenzione della cessione intracomunitaria è riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali previsti dal dell’art. 138 della Direttiva n. 2006/112/CE, che non includono l’obbligo del cedente di comunicare il numero di identificazione IVA del cessionario rilasciato dal Paese UE di destinazione dei beni.