In fatto
Prima di giungere all’analisi dei temi di rilievo affrontati dalla pronuncia in disamina, occorre fornire un sintetico quadro della vicenda.
Nel 2015, veniva concessa in locazione a uso abitativo un’unità immobiliare facente parte di uno stabile condominiale palermitano.
L’unità immobiliare locata veniva tuttavia utilizzata dal conduttore per attività di Bed & Breakfast, sicché il Condominio, in persona dell’amministratore pro tempore, evocava innanzi al Tribunale Civile di Palermo il proprietario dell’appartamento compreso nell’edificio e il conduttore, chiedendo che venisse dichiarata la cessazione dell’attività commerciale perché in contrasto con l’art. 10 del regolamento condominiale che, tra l’altro, vietava ai condomini di destinare gli appartamenti a gli altri locali interni a uso di “... qualsiasi industria, casa di alloggio, ambulanza, sanatorio, gabinetti per la cura di malattie infettive contagiose, agenzie di pegni...”.
In quella sede, peraltro, il conduttore avanzava domanda di risarcimento verso il proprietario, subordinata alla circostanza che, all’esito del giudizio, il Decidente avesse “optato” per la chiusura del B&B.
Con sentenza n. 2323, del 15.5.2018, il Tribunale Civile di Palermo, ritenuto che l’uso ad attività commerciale dell’appartamento locato violava il regolamento condominiale, condannava i convenuti alla chiusura dell’esercizio.
Avverso il provvedimento del Giudice di Prime Cure, i convenuti interponevano appello, poi rigettati dalla Corte d’Appello di Palermo con sentenza n. 677/2021.
Il conduttore (già convenuto e appellante) proponeva ricorso per Cassazione, affidandolo a cinque motivi: con il primo, veniva dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2655-2659 c.c., ritenendo che fosse inopponibile al ricorrente la clausola limitativa del regolamento condominiale; con il secondo veniva censurata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1363, 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 12, 3° co., D. Lgs. 79 del 2011; con il terzo, si ...