1. La vicenda
Il giudizio prendeva le mosse da un ricorso ex art. 702-bis c.p.c. con il quale gli attori (coniugi in comunione legale) chiedevano l’accertamento del diritto di comproprietà su una corte (ritenuta) comune e quindi la condanna dei due convenuti (proprietario e conduttore) alla rimozione della catena posta a chiusura di quell’area.
In primo grado, il Tribunale si limitò a ordinare ai convenuti la rimozione della catena con lucchetto apposta a chiusura della corte, rigettando la domanda principale di accertamento della comproprietà proposta dai coniugi e annullando anche la scrittura privata intercorsa da uno solo di essi e l’altra parte, per violazione dell’art. 184 c.c.
Interposto gravame avverso l’ordinanza decisoria, la Corte d’appello di Napoli – per quel che interessa in questa sede approfondire – accoglieva l’appello incidentale proposto da uno solo dei coniugi, accertando che la corte contesa fosse comune “pro indiviso” ai beni di proprietà esclusiva dell'attore e del convenuto, consistenti rispettivamente in un appartamento al piano terra e in una autorimessa, loro pervenuti in forza del decreto di trasferimento pronunciato all’esito di una procedura espropriativa in danno dell’unico originario proprietario esecutato.
2. Le questioni controverse
Il caso, giunto all’esame della Suprema Corte, poneva (tra le altre) le seguenti questioni: 1) l’una processuale, vale a dire se l’originario attore (appellante in via incidentale) fosse legittimato ad impugnare la decisione sfavorevole sul riconoscimento del diritto di comproprietà sull’area in questione, benché l’altro attore (coniugi in regime di comunione legale) avesse invece prestato acquiescenza al rigetto della domanda; 2) l’altra interpretativa, ossia se la Corte partenopea, riconoscendo la comunione del cortile con l’originario attore, fosse incorsa nella violazione delle norme afferenti all’interpretazione del titolo (decreto di trasferimento), oltre che del ...