1. Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte.
Le quaestiones iuris nascevano dalla domanda di nullità di un contratto preliminare e dell'atto di compravendita di una porzione immobiliare, sita in un complesso più ampio, rappresentata da un ristorante e da aree scoperte, anche ad uso parcheggi, stipulato da una società cooperativa in favore di un terzo (primo acquirente), nonché la conseguente invalidità (o inefficacia) dell’atto di rivendita dello stesso bene ad altri (secondo acquirente), oltre al risarcimento dei danni, promossa nei confronti dei contraenti da alcuni soci della cooperativa in qualità di coassegnatari del bene compravenduto.
A fondamento della domanda, i soci ponevano l’accento sulla (rivendica di) proprietà indivisa e in proporzione ai rispettivi millesimi dell’immobile e delle annesse aree oggetto dei contratti traslativi, ciò in forza dei relativi atti di assegnazione individuale delle unità immobiliari della cooperativa che, a loro dire, includevano anche le quote (ideali) sui “beni comuni” (tra i quali ristorante, silos, chiesetta, saloni, grotte romane e alloggio del portiere).
La Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva accolto le domande attoree dichiarando l'inefficacia degli atti pubblici e condannando i convenuti al risarcimento dei danni:
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da un lato, respingeva le domande proposte da uno solo dei soci rilevando che, riguardo alla sua posizione nei confronti della società cooperativa, non potesse più discutersi della titolarità del bene per essere intervenuto giudicato nell’ambito di un giudizio di impugnazione di una delibera che approvava il bilancio di esercizio della società, a suo tempo promosso dal medesimo socio, la cui domanda veniva rigettata proprio sul presupposto che quei beni (inclusi in bilancio all’attivo patrimoniale, sotto la voce “rimanenze”) non erano entrati nella proprietà ...