La vicenda
Un condomino viene citato in giudizio da altri condòmini e dallo stesso condominio per aver realizzato, nella sua proprietà esclusiva (e, in particolare, sul terreno limitrofo alla sua abitazione al piano terra), alcune opere, quali la sostituzione di una tettoria con realizzazione di una terrazza e la trasformazione di finestre in porte per l’accesso a quest’ultima. Tali manufatti, nella prospettiva attorea, sarebbero stati realizzati in violazione di divieti di costruzione previsti essenzialmente nel contratto di compravendita stipulato, nel 1955, tra la società costruttrice-venditrice del fabbricato (poi divenuto condominio) e la parte dante causa del convenuto.
La domanda, volta ad ottenere la riduzione in pristino, trova accoglimento nei gradi di merito. In particolare, la Corte d’appello, esaminando le clausole del contratto del 1955 contenenti il divieto – a carico della compratrice e dei “suoi eredi ed aventi causa a qualsiasi titolo” – di edificare costruzioni di carattere permanente sul terreno circostante alla casa acquistata a pian terreno nonché il rinvio a “tutti e singoli i patti le norme e le condizioni costituenti il regolamento disciplinante la proprietà divisa ed indivisa”, giunge alla conclusione che tale clausola abbia imposto dei limiti al diritto di proprietà esclusiva della porzione immobiliare acquistata nell’ambito di un edificio condominiale. Si tratterebbe, in particolare, di una servitù negativa (servitus altius non tollendi), in favore del condominio e a carico del fondo di proprietà esclusiva del convenuto in primo grado, e non di una pattuizione avente efficacia obbligatoria tra le sole parti originarie del contratto.
Il soccombente nei gradi di merito si rivolge, dunque, alla Corte di cassazione, che ribalta l’impostazione fatta propria dalla sentenza impugnata, che viene cassata con rinvio.
La decisione della Suprema Corte
La Corte ...