La vicenda
In due giudizi riuniti nelle fasi di merito, i proprietari di fondi contigui hanno spiegato azioni contrapposte: da un lato, domande di acquisto di diritti di servitù a titolo di usucapione e, dall’altro, le antagoniste actiones negatoriae servitutis.
La sentenza impugnata ha accertato che i fondi dominanti e serventi delle contestate servitù erano stati oggetto di comproprietà tra le parti oggi avversarie, in forza di un acquisto comune avvenuto nel 1963, e poi oggetto di divisione contrattuale tra i medesimi originari acquirenti (o loro eredi) nel novembre del 1985.
I giudici d’appello hanno riconosciuto provato l’acquisto per usucapione di alcune servitù di passaggio pedonale e di passaggio e posa di tubature delle reti tecnologiche, in base all’apprezzamento delle prove testimoniali espletate in ordine al concorso dei requisiti dell’apparenza delle opere esistenti per l’esercizio dei pretesi diritti reali, della loro idoneità ai fini della usucapione, nonché del possesso, quest’ultimo “retrodatato” al momento di acquisto del bene avvenuto nel 1963 e, dunque, considerato idoneo all’acquisto a titolo originario delle reclamate servitù anche in riferimento all’esercizio in costanza del regime di comproprietà dei beni.
La Corte di cassazione non condivide la parabola argomentativa disegnata dalla sentenza impugnata, affermando alcuni principi di indubbio interesse.
La decisione della Suprema Corte
I giudici di legittimità, in particolare, smentiscono l’assunto secondo cui un compartecipe può far valere, successivamente alla stipula del contratto di divisione, l’acquisto per usucapione di una servitù in favore della porzione a lui assegnata ed a carico della porzione assegnata ad altri, invocando, ai sensi dell’art. 1146, comma 2, c.c., anche il precedente compossesso spettantegli quale comproprietario.
L’affermazione costituiva un caposaldo della sentenza di secondo grado, dal momento ...