Il fatto.
Un condomino di un edificio richiedeva la revoca giudiziale dall’incarico dell’amministratore del proprio condominio. Il Tribunale di Varese rigettava la domanda proposta. Contro il provvedimento del giudice di primo grado, il condomino presentava reclamo dinanzi alla Corte di Appello di Milano, censurandolo sulla base di alcuni punti, sui quali la stessa Corte si pronunciava, confermando il decreto del giudice di primo grado, anche sulle spese processuali ex art. 91 c.p.c..
Avverso la pronuncia della Corte di Appello, il condomino proponeva ricorso innanzi alla Suprema Corte di Cassazione, articolandolo in tre motivi relativi alla violazione o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.. Il primo, per non aver colto il giudice di secondo grado il senso intrinseco del reclamo proposto e aver ribadito le motivazioni del Tribunale, ritenute lacunose e non convincenti; il secondo, con riguardo all’art. 1129, comma 11, c.c. e art. 91 c.p.c., sul profilo della liquidazione ritenuta illegittima delle spese legali; il terzo, per aver la Corte territoriale liquidato, oltre alle spese di giudizio di primo grado, anche quelle del giudizio di gravame, con l’applicazione impropria dei valori del D.M. n. 55/2014.
La Suprema Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità e al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ex art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 115/2002.
Osservazioni.
I giudici della Seconda Sezione Civile analizzano le censure prospettate attraverso i tre motivi di ricorso ed evidenziano come non vi siano elementi tali da poter contrastare con consolidati orientamenti della Cassazione che hanno previsto l’inammissibilità del ricorso per cassazione, ex art. 111 Cost., avverso il decreto ...