La vicenda
Un condominio, in persona dell’amministratore, cita in giudizio due dei condòmini, chiedendo l’accertamento della comproprietà condominiale di un terrazzo a livello, attiguo all’appartamento di proprietà esclusiva dei convenuti, e la conseguente illegittimità delle opere eseguite da questi ultimi sull’area in contestazione, con la condanna al ripristino dello status quo ante, oltre al risarcimento dei danni.
La principale difesa spiegata dai convenuti ruota sul difetto di legittimazione attiva dell’amministratore, anche per la mancanza di una valida delibera assembleare al promovimento della lite, da intendersi come avente ad oggetto una domanda di rivendica e non una semplice azione conservativa.
Si tratta di un argomento che non trova accoglimento né in primo grado né in appello, dove il condominio incassa una sentenza di accoglimento delle domande proposte.
In particolare, la corte territoriale, in ordine alla eccezione di carenza di legittimazione attiva dell’amministratore, sostiene che: a) l’interesse reale perseguito in giudizio è quello all’eliminazione delle opere eseguite sul terrazzo e non già quello all’astratto accertamento della proprietà dell’area, con la conseguenza che l’azione esercitata presenta una connotazione prettamente conservativa; b) in ogni caso, risulta sussistente un mandato dell’assemblea, la quale, in due deliberazioni non impugnate, ha dapprima rappresentato l’intenzione, espressa in modo unanime dai condòmini presenti, di conferire all’avvocato (che sarebbe stato incaricato dall’amministratore) ogni più ampio mandato per la tutela dei diritti del condominio e dei singoli condòmini, e poi ha confermato, successivamente e sempre all’unanimità dei presenti, la volontà di ottenere il ripristino dello stato originario del terrazzo.
Di diverso avviso si mostra la Suprema Corte, dopo essere stata investita del ricorso proposto dai condòmini soccombenti, i quali hanno insistito nelle principali argomentazioni difensive spese nei gradi di merito.