Il caso trattato
Il Tribunale di Milano condannava, per il reato di disastro colposo (art. 434, secondo comma, e 449 c.p.), tre soggetti i quali, a vario titolo, eseguivano dei lavori edilizi all’interno di un condominio che cagionavano il crollo del manto stradale e una imponente voragine (di ampiezza di circa metri 6 per 3) nel suolo della pubblica via posta di fronte al condominio.
Il Tribunale assolveva dal reato l ‘amministratore del condominio, poiché lo stesso non rispondeva a titolo di responsabilità oggettiva del crollo, in conseguenza della violazione dell’art. 40, secondo comma, c.p., in quanto i lavori edilizi eseguiti erano al di fuori del suo potere di intervento, non si era inserito nella loro conduzione che quindi si era realizzata al di fuori della sua signoria. Pertanto, il Tribunale non ravvisava un nesso di causalità tra l’operato dell’amministratore ed il crollo.
La Corte di Appello di Milano riformava integralmente la predetta sentenza ed assolveva gli imputati perché il fatto non sussiste.
Avverso la sentenza il Procuratore Generale e le parti civili (il Comune di Milano e la Metropolitana Milanese SPA) ricorrevano in Cassazione lamentando l’ingiustizia della predetta sentenza per le seguenti ragioni.
I ricorrenti sostenevano che i giudici di appello erano incorsi in un errore di diritto nella qualificazione del fatto descritto al capo di imputazione laddove affermavano testualmente: “Ed infatti si tratta di una apertura di una parte del manto stradale di dimensioni non indifferente ma certamente circoscrivibile con adeguati e tempestivi interventi che non può qualificarsi come “un fatto distruttivo di proporzioni straordinarie” o come “disfacimento dell’opera”, privo cioè di quella distruttività che deve caratterizzare un “disastro”, come era ad esempio, il crollo della diga del Vajont.”
Il richiamo dell’art. 449 ...