Il caso affrontato da Trib. Mi., sez. lav., 21 luglio 2021, n. 1806, dott.ssa Capelli
La parte ricorrente, con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ., chiedeva al Tribunale di Milano di accertare l’inopponibilità ed illegittimità del patto di non concorrenza apposto proprio al contratto di lavoro. Quindi conveniva innanzi al Tribunale di Milano la società datrice di lavoro per richiederne la condanna alla restituzione della penale da lui corrisposta in ragione della ritenuta violazione del patto di non concorrenza.
L’ex datore di lavoro (parte convenuta) si costituiva in giudizio contestando le domande avversarie e chiedendone il rigetto perché infondate in fatto e in diritto. In particolare, chiedeva l’affermazione della validità del patto di non concorrenza, la sua opponibilità al ricorrente e, conseguentemente, il riconoscimento della legittimità della trattenuta a titolo di penale.
Il Tribunale di Milano, esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione ed istruita la causa, rigettava il ricorso perché il patto risultava valido.
La sentenza
Il Tribunale, valutate le domande presentate dal lavoratore, riteneva il patto di non concorrenza valido ed opponibile per diverse ragioni.
In primis, il Tribunale rigettava l’eccezione sollevata dal lavoratore secondo cui le formule utilizzate nel patto (“qualsiasi attività o ramo d’azienda”, “qualsiasi altra posizione”, “a titolo meramente esemplificativo”, ecc.) avevano una tale genericità da precludergli lo svolgimento di qualsiasi attività in tutto il settore informatico, e tali da impedirgli di potersi avvalere della propria professionalità per produrre reddito. In realtà, rilevava il Tribunale, l’art. 12 del suddetto patto ne delimitava l’oggetto prevedendo:
− l’esclusivo divieto di svolgere attività concorrenziali in relazione a un settore specialistico, concernente la progettazione, lo sviluppo, la distribuzione, la concessone su licenza, la vendita e assistenza di design tridimensionale ...