La fattispecie
La questione approdata alla Suprema Corte prendeva le mosse da una citazione presso il Tribunale di Bari volta ad ottenere la rimozione o l’inibitoria di impianti autonomi di riscaldamento e acqua calda sanitaria realizzati in violazione delle norme tecniche di cui al DPR n 419/1993 ed alle norme UNI, che impongo nell’attuale testo, e per quanto d’interesse e ratione temporis già imponevano, di portare le emissioni prodotte dall’impianto autonomo oltre il colmo del tetto dell’edificio.
Tuttavia, nel corso del giudizio di primo grado i convenuti regolarizzavano le dedotte illegittimità amministrative portando il Tribunale alla declaratoria della cessata materia del contendere pur con compensazione delle spese legali, in ragione della ritenuta soccombenza di parte attrice circa l’ulteriore domanda di cessazione di immissioni intollerabili ex art. 844 c.c. che il Tribunale riteneva essere stata avanzata nel corpo della citazione.
L’adita Corte d’Appello, investita della dedotta ingiustizia della sentenza per non aver liquidato le spese legali in forza del principio della soccombenza virtuale, confermava il primo pronunciamento evidenziando tra l’altro l’omesso gravame proprio della statuizione di rigetto della qualificata domanda di cessazione di immissioni.
Innanzi al Supremo Collegio il ricorrente, con due diverse censure, lamentava ancora di non aver mai proposto domanda di immissioni ex art. 844 c.c., come invece esposto nella sentenza della Corte D’Appello, e di aver piuttosto preteso la sola regolarizzazione delle canne fumarie che siccome intervenuta in corso di causa, avrebbe dovuto importare una condanna dei convenuti alle spese legali per il principio della soccombenza virtuale.
La Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso evidenzia come “spetti al Giudice di merito, nel caso in cui dichiari cessata la materia del contendere, di deliberare il fondamento della domanda per decidere sulle spese secondo il principio della ...