Premessa
Costituisce un principio generale, affermato in giurisprudenza e in dottrina, che l’edificio condominiale «ricostruito» (operazione per la quale è necessario il consenso della totalità dei partecipanti, Cass., 28 marzo 1958, n. 1075) in modo difforme rispetto allo stabile originario, deve essere regolato dalle norme sulla comunione ordinaria pro indiviso tra tutti i precedenti comproprietari (P. Petrelli, Il perimento dell’edificio, in AA.VV., Il nuovo condominio, a cura di R. Triola, Torino, 2017, p. 874; A. Celeste, sub art. 1128 c.c., in Codice del Condominio, diretto da A. Celeste, Milano, 2018, p. 350).
Al contrario, nell’ipotesi in cui l’edificio venisse ricostruito con la medesima struttura, si determinerebbe una vera e propria «reviviscenza» del condominio, con la distribuzione delle unità immobiliari in proprietà esclusiva agli originari proprietari in base agli stessi diritti e quantità in precedenza possedute (sul punto A. Celeste, sub art. 1128 c.c., in Codice del Condominio, diretto da A. Celeste, Milano, 2018, p. 350, il quale rileva che «in buona sostanza, salvo la sua contraria volontà, ciascun partecipante acquisterebbe la medesima proprietà che gli apparteneva nell’edificio distrutto»).
Per la giurisprudenza, dunque, come si vedrà meglio innanzi, la ricostruzione di un edificio, strutturalmente diverso rispetto al precedente, determina l’estinzione del condominio per mancanza dell’oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le parti comuni mentre permane tra gli ex-condòmini soltanto una comunione pro indiviso dell’area di risulta. Pertanto, la nuova costruzione «difforme» sarà soggetta esclusivamente alla disciplina dell’accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari dell’area in proporzione delle rispettive quote.
Tale nuovo diverso edificio, ovviamente, può tornare a «rivivere» come un condominio ma soltanto sulla base della stipulazione di un negozio di divisione che assegni in proprietà separata i piani o le porzioni di piano cioè, più ...