IL CASO AFFRONTATO DA TRIB. MI, SEZ. LAV., 26 MAGGIO 2020, N. 647, DOTT.SSA STEFANIZZI.
La parte ricorrente adiva il Tribunale di Milano per sentire dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimatogli per giustificato motivo oggettivo e condannare il datore di lavoro al pagamento delle conseguenti indennità nella misura massima (nel caso specifico, stante le dimensioni aziendali, 6 mensilità).
Il datore di lavoro (parte convenuta) non si costituiva in giudizio, rimanendo contumace.
Il Tribunale, istruita la causa con la sola produzione documentale, accoglieva il ricorso per difetto di motivazione e/o motivazione “apparente” nella lettera di licenziamento condannando il datore di lavoro ad una indennità risarcitoria corrispondente a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.
LA SENTENZA.
Nella sentenza in commento viene rilevato che la lettera di licenziamento conteneva una motivazione scarna e del seguente tenore «siamo spiacenti a comunicarle che è nostra intenzione risolvere il rapporto di lavoro per giustificato motivo oggettivo per riduzione del personale a causa della riorganizzazione dell’attività lavorativa aziendale».
Preso atto del contenuto di tale lettera, il giudice meneghino si è orientato nel senso di ritenere il licenziamento «del tutto carente sotto il profilo motivazionale» dichiarandone così l’illegittimità.
Infatti, si legge nella sentenza, «non è dato comprendere invero in che termini ed in quale misura l’azienda abbia inteso effettuare una riduzione del personale né il tipo di riorganizzazione aziendale al quale è fatto riferimento»; tale licenziamento «preclude qualsiasi verifica in sede giudiziale della effettiva sussistenza delle motivazioni addotte, non essendo queste in alcun modo specificate».
La motivazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, posto a tutela dei diritti del lavoratore, rappresenta quindi lo strumento necessario per consentire al giudice la verifica della sua effettiva sussistenza.