IL CASO AFFRONTATO DA TRIB. MI, SEZ. LAV., 11 GIUGNO 2020, N. 746, DOTT.SSA GIGLI.
Il ricorrente, assunto con un contratto a tempo determinato part-time, agiva innanzi il Tribunale di Milano, sez. lav., nei confronti del suo ex datore di lavoro per chiedere la condanna al pagamento del trattamento retributivo e contributivo conseguente l’allegato licenziamento orale.
La parte convenuta si costituiva in giudizio e chiedeva il rigetto del ricorso. In particolare contestava le domande avversarie rilevando che la parte ricorrente aveva più volte manifestato l’intenzione di dimettersi fino al punto che non si era più presentata al lavoro.
Il Tribunale, all’esito dell’istruttoria, rigettava la domanda perché il ricorrente non aveva adempiuto all’onere della prova in merito all’estromissione datoriale.
LA SENTENZA.
Nella parte motivazionale della sentenza il Tribunale di Milano rileva che era stata prodotta una documentazione in senso contrario rispetto alla volontà datoriale di recedere dal rapporto di lavoro. Si legge, infatti: la «lettera scritta a mano e sottoscritta dal ricorrente, datata 21/8/2018, con cui questo dichiara di volersi dimettere e comunica che a tale dichiarazione seguirà comunicazione “ufficiale” da parte del CAF […]. La lettera era stata a sua volta preceduta da messaggio whatsapp inviato dal ricorrente».
Su tale premessa fattuale il Tribunale richiama il seguente orientamento: «la regola posta dall’art. 2697 c.c. in materia di ripartizione dell’onere probatorio impone al lavoratore che impugni un asserito licenziamento orale di dimostrare, quale fatto fondante il diritto a sostegno della sua pretesa, l’estromissione del rapporto per volontà del datore, non essendo sufficiente la prova della mera cessazione del rapporto medesimo. Qualora il datore eccepisca le dimissioni del proprio dipendente, il giudice sarà tenuto ad un’indagine rigorosa volta alla ricostruzione dei fatti, altresì avvalendosi dei poteri istruttori d’ufficio ...