Revoca del licenziamento: prima della L. 92/2012
Prima della L. 92/2012, c.d. riforma Fornero del 2012, la revoca del licenziamento da parte del datore di lavoro veniva comunemente considerata una proposta contrattuale di ricostruzione del rapporto. Infatti, salvo il caso che la revoca giungesse a conoscenza del lavoratore prima del licenziamento, la natura unilaterale e ricettizia di entrambi gli atti determinava quale conseguenza che il licenziamento, una volta venuto a conoscenza del lavoratore, producesse l’effetto solutorio, sicché la successiva revoca interveniva su un rapporto già risolto. La revoca poteva al più valere come proposta contrattuale che però doveva essere accettata (anche se non necessariamente per iscritto, essendo sufficiente un comportamento concludente quale la ripresa del lavoro). Sul punto, la giurisprudenza di legittimità maggioritaria riteneva che la revoca del licenziamento non richiede(sse) la forma scritta, atteso il principio per cui i negozi risolutori degli effetti di atti che richiedono - come il licenziamento - la forma scritta non sono assoggettati ad identici requisiti formali in ragione dell’autonomia negoziale, di cui la libertà di forma costituisce, in mancanza di diversa prescrizione legale, significativa espressione (così fra le tante, Cass. civ., sez. lav., 1 luglio 2004, n. 12107; Cass. civ., sez. lav., 5 marzo 2008, n. 5929). Il risarcimento del danno era, poi, sempre dovuto, quantomeno nella misura minima di cinque mensilità con presunzione juris et de jure, essendo assimilabile ad una sorta di penale collegata al rischio di impresa a meno che la revoca, intervenendo nell’assoluta immediatezza del licenziamento, non fosse tale (per i modi, tempi e forme) da proporsi all’esterno come manifestazione di una medesima (contraddittoria) volontà, atteso che in questo caso (e solo in esso), venendo a mancare la riconoscibilità esterna dell’atto di licenziamento (e perciò la sua ...