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Le tutele a favore degli “esclusi” dalla decretazione di urgenza: gli oneri condominiali

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Spese condominiali

Le tutele a favore degli “esclusi” dalla decretazione di urgenza: gli oneri condominiali

martedì, 28 aprile 2020

Il diffondersi del “Coronavirus-Covid 19” ha costretto lo Stato ad adottare misure urgenti per far fronte all’ emergenza, sia sul piano sociale della prevenzione e del contenimento, sia sul piano economico e lavorativo. L’individuazione di regole restrittive alla circolazione delle persone ed agli scambi commerciali ha, infatti, comportato una grave crisi economica e, dunque, la necessità di intervenire anche in tale settore; le misure di “welfare” adottate, pur raggiungendo una vastità di categorie di persone ed ambiti lavorativi, non sempre sono state soddisfacenti per l’intera popolazione, lasciando privi di tutela alcuni titolari di rapporti giuridici. A ben vedere, però, l’emergenza “Coronavirus”, in alcuni casi, può essere fatta rientrare nelle maglie della legislazione codicistica proprio al fine di dare tutela agli “esclusi” dalla decretazione di urgenza, tra cui sicuramente rientra anche il Condomino

Le influenze del Covid 19 nella disciplina dei contratti.

Il contratto rappresenta il principale strumento di regolamentazione dei rapporti socio-economici; di conseguenza, la crisi generata dal Covid 19, falsando il mercato dei beni e gli scambi commerciali, ha alterato – e tutt’ora sta alterando – gli equilibri contrattuali, comportando la necessità per l’interprete di definire chi deve sopportare il costo dovuto al sopraggiungere degli eventi.

In altre parole, la crisi derivante dal fenomeno del Coronavirus, ha alterato la nozione di rischio contrattuale, assumendo rilevanza come sopravvenienza che inevitabilmente interferisce con l’utilità o la convenienza dell’operazione economica che di volta in volta le parti avrebbero voluto perseguire mediante la conclusione di un determinato contratto.

Di tale eccezionalità il Governo pure ne ha tenuto conto nelle misure assunte per far fronte alla emergenza economica, scaturita a seguito delle misure di prevenzione e contenimento che hanno costretto i più a vivere in quarantena nelle proprie abitazioni, per di più sospendendo le proprie attività lavorative (cfr. DL n. 18 del 17 marzo 2020, denominato “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, c.d. decreto “cura Italia” e, da ultimo, D.L. 8 aprile 2020 n. 23 denominato Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali per i settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga dei termini amministrativi e processuali).

La maggior parte delle misure, però non ha inciso sulla disciplina dei contratti in essere, prevedendosi soprattutto misure di tipo economico-finanziario per far fronte alla crisi.

Invero, da un lato, con riguardo a determinati rapporti giuridici, lo Stato è intervenuto a sostegno dei privati, sia sostituendosi nel pagamento degli stipendi ai lavoratori dipendenti, mediante la cassa integrazione, sia prevedendo indennizzi e misure finanziarie di “tamponamento” (si pensi tra l’altro,  agli artt. 19-22 per ciò che concerne la cassa integrazione, l’art. 56 circa la sospensione dei pagamenti delle rate di mutuo, finanziamento e leasing con dilazione dei termini del contratto, gli artt. art. 61-62  in tema di sospensione dei versamenti di ritenute, contributi previdenziali e assistenziali con scadenza 16 marzo e,  per i professionisti senza dipendenti con ricavi non superiori a 400 mila euro, delle ritenute d’acconto sulle fatture di marzo e aprile); nello stesso tempo, però, nulla viene disposto per tutti quei contratti in essere, per i quali l’equilibrio delle prestazioni originariamente pattuite dalle parti pure potrebbe aver subito una notevole alterazione. 

Entro tali termini, con riguardo agli “esclusi”, è compito dell’interprete individuare il perimetro della tutela contrattuale, facendo riferimento ai principi che governano l’ordinamento giuridico, così da dare una risposta a chi si interroga circa il corretto “comportamento” da tenere.

Sul punto, considerando che, come osservato, il Covid 19 ben può rappresentare una sopravvenienza in termini di evento che altera il sinallagma con riferimento all’utilità o la convenienza dell’operazione, con riguardo ai rimedi giuridici applicabili,  è possibile principiare dalla lettera del combinato disposto degli artt. 1256, comma 1  e 1463 c.c. secondo cui l’obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile e la parte liberata deve restituire quanto ricevuto, secondo le norme relative alla ripetizione dell'indebito; inoltre, ai sensi del comma 2, dell’art. 1256 c.c., se tale impossibilità è solo temporanea,  il debitore, nelle more della stessa, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

L’impossibilità definitiva o temporanea della prestazione, in tempi di Covid 19, dipenderà, allora, dal sopraggiungere o meno di un provvedimento restrittivo ovvero dal tipo di prestazione da effettuarsi.

Si dovrà, dunque, innanzitutto distinguere i casi in cui l’attività economica sia stata sospesa, da quelli in cui essa si sia solo ridotta come conseguenza della emergenza. Nel primo caso, se l’obbligazione pattuita prima del Covid 19 prevedeva un termine,  l’esonero da responsabilità sarà chiaro ed evidente (si pensi, ad esempio, alla chiusura di una attività commerciale imposta per legge, che renda impossibile la produzione di un determinato prodotto e la relativa consegna); se, invece, l’ attività non è stata interrotta, la valutazione sarà più complessa (si pensi, ad esempio, a chi non riesce a pagare una fornitura per mancanza di mezzi economici o, ancora, ad un’impresa edile che, pur se l’ attività non risulta essere impedita per legge, non riesce ad adeguarsi alle misure di sicurezza sanitaria previste, a seguito delle difficoltà di approvvigionamento dei materiali necessari).

Ed, infatti, in determinate circostanze, è ben possibile che la crisi economica scaturita da quella sanitaria, oltre a difficoltà organizzative,  comporti -come di fatto sta accadendo-  una forte diminuzione dei ricavi anche per tutte quelle attività, che seppur rimaste aperte, hanno perso un gran numero di clienti, generandosi un grave e preoccupante impoverimento sociale generalizzato; di conseguenza, sarebbe opportuno estendere la disciplina del comma 2, dell’art. 1256 c.c. a tutti coloro che, a causa della crisi, per comprovati motivi di ordine economico, non riescono a sostenere ed a rispettare un impegno contrattuale assunto precedentemente al sopraggiungere del Covid 19; finché detta impossibilità perdura, la crisi ben potrebbe essere considerata una esimente per la responsabilità del debitore circa il suo ritardo nell’adempimento.

Del resto, proprio il D.L. n. 18/2020, in tal senso, prevede espressamente che, data l’eccezionalità delle misure adottate, i ritardati od omessi inadempimenti non potranno – sempre in seguito ad una valutazione caso per caso – dare luogo a “decadenze” o al pagamento di penali.

Anche la norma di cui al citato Decreto, pertanto, impone al giudice di tenere in considerazione la misura di contenimento governativa invocata dal debitore come causa di giustificazione del ritardo o dell’inadempimento e, successivamente, di valutarla, indicando nella pronuncia i motivi per i quali l’abbia ritenuta idonea o meno ad esonerare la responsabilità del debitore.

In definitiva, dunque, occorrerà di volta in volta prendere in esame le diverse misure di contenimento previste dal DL n. 6/2020, verificando se, nello specifico caso, le stesse possano costituire causa di esclusione della responsabilità.

Pertanto, in via generale, il debitore, cessata la suddetta impossibilità, salvo la disciplina ex art. 1373, comma 2 c.c. in tema di recesso, deve sempre eseguire la prestazione; diversamente, sarà passibile di responsabilità.

In alcuni rapporti giuridici, però,  la crisi può comportare l’ alterazione del sinallagma in modo tale da eliminare l’ interesse economico al mantenimento in vita del contratto; in tali casi i contraenti, ben potranno ricorrere   all’ulteriore e diverso  istituto  disciplinato dall’art. 1467 c.c. posto in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, il quale può assumere rilievo centrale nei casi non coperti dalla tutela emergenziale, laddove si prevede che in un contratto a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata, periodica o differita, un contraente può domandare all’ altro la risoluzione del contratto nel caso in cui un evento imprevedibile e straordinario alteri il sinallagma del rapporto, facendo divenire la sua prestazione eccessivamente onerosa.

Orbene, in siffatti termini, la crisi economica ben può innestarsi nei rapporti contrattali quale evento straordinario ed imprevedibile che può rendere eccessivamente onerosa la posizione contrattuale di una delle parti; per poter usufruire di tale rimedio, però, la parte, nel rispetto della teoria dell’efficiente sopportazione del rischio non solo dovrà dimostrare di aver subito un notevole aumento del proprio costo-valore, ma anche che questo sia maggiore rispetto a quella della controparte.

L’onerosità sopravvenuta, dunque, derogando alla regola generale della responsabilità contrattuale estesa fino al limite della impossibilità non imputabile, rappresenta il rimedio caducatorio per eccellenza.

In verità, l’ eccessiva onerosità  oltre alla risoluzione del contratto, può comportare anche la rimodulazione dello stesso dietro offerta della controparte in termini di equità; proprio tale possibilità, come a breve si vedrà, potrebbe rappresentare il miglior modo che le parti di un contratto hanno a disposizione per riequilibrare i loro rispettivi interessi mantenendo l’ efficacia dello stesso, piuttosto che risolverlo; a tal fine gli stessi contraenti potranno stabilire entro quali limiti saranno interessati agli effetti dell’operazione economica conclusa, attraverso un bilanciamento costi-ricavi derivante dal vincolo concluso.

L'applicazione in Condominio dei principi esaminati: spese ed oneri condominiali.

Nell’attuale crisi socio-economica il Condominio, quale ente di gestione di parti comuni relative a singoli immobili di proprietà privata, se considerato nella sua complessità, rappresenta un coacervo di rapporti giuridici, economici e contrattuali.

Anche il Condominio e le sue dinamiche “relazionali” possono, dunque, subire delle forti influenze derivanti dal Covid 19, sia nella sua regolamentazione (ad es. uso di ascensori, modalità di riunione dell’assemblea), sia nei rapporti interni (ad es. pagamento delle rate condominiali) ed esterni (ad es. pagamento dei lavori di manutenzione appaltati).

Giova, infatti, ricordare che la gestione dell'azienda-Condominio registra, in buona sostanza, somme in uscita e somme in entrata: da un lato, le spese condominiali, ossia gli esborsi che vengono effettuati dall'Amministratore per la manutenzione dei beni comuni e per la prestazione dei servizi essenziali, e, dall'altra, i contributi condominiali, vale a dire gli importi a carico di ciascun partecipante per far fronte a dette spese; dunque, tutti i condomini sono tenuti a partecipare, nella percentuale diversa a seconda dei casi alle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni.

Per ciascuno di questi rapporti giuridici riaffiorano le stesse criticità in precedenza esaminate.

In particolare, per ciò che concerne la vita del Condominio, in via generale, la legislazione d’urgenza non esonera dal pagamento nè degli oneri condominiali, né delle spese (per i primi potrebbe ipotizzarsi una decisone assunta dall’ assemblea condominiale volta a ridurre le singole quote, ma a tal fine il Governo ha vietato le stesse assemblee, a meno che non si svolgano con modalità a distanza, assicurando comunque il rispetto della normativa in materia di convocazioni e delibere: cfr. in questa sezione, Chiesi, “Decretazione d’urgenza ed assemblea di Condominio: brevi considerazioni”).

Inoltre, salvo alcune attività interrotte (ad es. quella del giardiniere o dell’appaltatore, per la quale, però, si pone un problema interpretativo con riguardo ai lavori già eseguiti, cfr. in questa sezione Scarpa, “Emergenza Covid-19 ed obbligo immediato dei lavori edili eseguiti”), le altre continuano ad essere svolte e, di conseguenza, sussiste intatto l’obbligo di pagamento in capo al Condominio (come ad es. quella del portiere o dell’impresa di pulizia, rientrando le attività tra quelle di cui al Codice Ateco 97, cfr. DPCM 11 marzo 2020, allegato 1).

Pertanto, non viene modificato il regime di pagamento degli oneri e delle spese condominiali, sia ordinarie che straordinarie, secondo i termini indicati nella deliberazione assembleare di approvazione del rendiconto condominiale, del c.d. preventivo di gestione ovvero nel regolamento di condominio.

Orbene, al fine di individuare le tutele giuridiche applicabili a diversi casi concreti, seguendo le direttive tracciate in precedenza, è necessario effettuare una distinzione tra le diverse prestazioni.

In particolare, laddove si rientrasse in un’ipotesi di prestazione da eseguirsi nell’ immediato, la quale, però, viene vietata dalla legislazione d’urgenza, allora, rileverà la disciplina dell’impossibilità sopravvenuta ex art. 1256, comma 2 c.c.

Per tal via, seguendo tale ratio, in tema di obblighi condominiali, nella specie la raccolta differenziata dei rifiuti si registra la decisione dell’Istituto Superiore della Sanità “Rapporto ISS COVID-19 n. 3/2020”, secondo cui le persone positive al Coronavirus, quelle in isolamento e quarantena devono sospendere la raccolta differenziata, rappresentando il grave stato di salute una evidente causa ostativa all’ adempimento del suddetto obbligo. 

Diversamente, in caso di impossibilità temporanea, si ritiene opportuno far riferimento ai menzionati principi dettati dal codice civile e dai decreti legge.

Di conseguenza, nel caso di spese condominiali, facendo seguito alle osservazioni svolte in tema di impossibilità temporanea causata da comprovate esigenze di ordine economico causate dal fenomeno del Covid 19, a fronte dell’azione che viene avanzata dal’ amministratore, la sospensione del pagamento per comprovate ragioni di scarsità economiche ben potrebbe esser fatta rientrare nella esimente ex art. 91 DL n. 18 del 17 marzo 2020 ed art. 1256, comma, 2 c.c.

Ciò a maggior ragione se si considera che a fronte della crisi economica, restano ugualmente fermi gli obblighi dell’Amministratore del condominio di cui all’art. 1130 cod. civ. e, per quanto qui rileva, l’obbligo di “riscuotere i contributi” e di “compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell’edificio”.

Proprio tale soluzione, assumerebbe rilievo anche nei rapporti contrattuali tra il Condominio e terzi, soprattutto con riguardo ai rapporti di somministrazione, per i quali al pari degli altri rapporti “esterni” rimane l’obbligo del pagamento a favore di terzi per le prestazioni effettuate - e da effettuarsi - in base a contratti stipulati precedentemente al Covid 19.

Sul punto, giova ricordare che il Condominio, tramite il suo codice fiscale, è, infatti, intestatario delle utenze condominiali di acqua, luce e gas ai fini della somministrazione erogata a favore delle parti comuni; infatti, esso, anche se non è un soggetto giuridico, deve essere comunque munito di titolarità fiscale. Questo significa che in ogni caso c'è l'obbligo di avere un codice fiscale, anche se il condominio è minimo.

Nella maggior parte dei casi il contratto della luce e del gas che riguarda un immobile viene gestito direttamente dall'amministratore del condominio; i fornitori propongono in genere offerte luce e gas dedicate esclusivamente per i proprietari di interi stabili o per gli amministratori di condominio. A seconda delle esigenze, come per le normali utenze domestiche, è possibile scegliere l'offerta migliore.

La fornitura elettrica è quasi sempre presente, poiché è necessaria per l'illuminazione di scale e cortili, per l'ascensore se presente e per eventuali apparecchiature elettriche; non essendoci alcuna norma specifica circa la ripartizione delle spese, in generale la suddivisione del pagamento della bolletta della luce, si effettua sulla base dei millesimi di proprietà utilizzando il parametro dell’art. 1123 c.c.

Anche l’utenza dell’acqua può essere intestata al Condominio; la questione della ripartizione delle spese per l’utenza è stata oggetto di dibattito interpretativo, culminato nella sentenza della Corte di Cassazione n.17557 del 2014 la quale, ha affermato che esse debbono essere suddivise in base all’effettivo consumo, se questo è “rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”, mediante un contatore di sottrazione, idoneo alla misurazione precisa del consumo. Se il condominio ne risulta sprovvisto, la Corte, escludendo il criterio di ripartizione del costo dell’acqua sulla base del numero di persone che abitano stabilmente nell’edificio (ritenuto solo potenziale), ha precisato che occorre far sempre riferimento al principio generale, per il quale la suddivisione delle spese dell’acqua – in mancanza di contatori di sottrazione – è da farsi tenendo conto dei valori millesimali delle singole unità immobiliari (al pari di luce e gas).

Per ciascuno di queste utenze, dunque, il condomino potrebbe risultare moroso a seguito della crisi economica generata dal Covid 19.

Sul punto, è bene innanzitutto evidenziare che la morosità del condomino non può comportare conseguenze negative per  l’intero Condominio; da ultimo, tale principio è stato affermato con forza dall’ Antitrust  la quale, intervenendo sulla pratica della società toscana Publiacqua S.p.a. di staccare la fornitura dell’ acqua a tutto il Condominio in caso di morosità di alcuni condomini ha affermato che  «La condotta posta in essere da Publiacqua configura una pratica commerciale aggressiva, in violazione degli articoli 24 e 25 del Codice del Consumo, in quanto idonea a condizionare indebitamente i condòmini, che hanno già adempiuto la propria obbligazione, al pagamento del debito residuo del condominio, al fine di scongiurare l'interruzione della fornitura idrica. Publiacqua, infatti, non esperisce preventivamente le iniziative volte all'escussione del credito nei confronti dei condòmini morosi, così come previsto dalla legge 220/2012, né, peraltro, effettua alcun tentativo volto a verificare la possibilità, laddove tecnicamente possibile, di procedere alla limitazione, sospensione o disalimentazione selettiva della fornitura del singolo condòmino moroso».

In ogni caso, al di là di ciò, in linea generale, l'art. 63, comma 3, disp. att. c.c. attribuisce all'Amministratore condominiale - in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice - il potere di sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, e, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione «ove il regolamento lo consenta», l'esercizio di tale potere configura un potere-dovere dell'Amministratore condominiale; discussa è la portata del potere: alcuni orientamenti ritengono che l’ esercizio è legittimo ove la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell'impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso (Trib. Modena 5 giugno 2015); in altro provvedimento, invece, i giudici hanno evidenziato che l'Amministratore di Condominio può chiedere un provvedimento d'urgenza al giudice al fine di ottenere l'autorizzazione alla sospensione dell'erogazione del servizio di fornitura dell'acqua nei confronti dei condomini morosi, in virtù di quanto sancito dall'art. 63 disp. att. c.c., potendo tale sospensione dell'afflusso dell'acqua riguardare le sole unità immobiliari dei condomini morosi (Trib. Brescia 27 gennaio 2014).

Di conseguenza, l’amministratore in assenza di tutele previste a favore dei condomini morosi sarebbe legittimato ad agire oltre che per il recupero delle somme anche per il distacco dei servizi.

Da ultimo però, sulla scia dei principi esaminati, l'ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), con deliberazione del 2 aprile 2020 117/2020/r/com, ha deciso di bloccare i distacchi per morosità per elettricità, gas e acqua proprio a causa dell'emergenza nazionale da COVID-19.

Nel proprio comunicato, l'Autorità ha evidenziato che “Tutte le eventuali procedure di sospensione delle forniture di energia elettrica, gas e acqua per morosità - di famiglie e piccole imprese - vengono rimandate dal 10 marzo scorso e fino al 3 aprile 2020. Viene inoltre istituito un conto presso la Cassa per i servizi energetici e ambientali, con disponibilità fino a 1 miliardo, per garantire la sostenibilità degli attuali e futuri interventi regolatori a favore di consumatori e utenti”.

Pertanto, secondo le nuove disposizioni, dovranno essere interamente rialimentate le forniture di energia elettrica, gas e acqua eventualmente sospese (o limitate/disattivate) dal 10 marzo 2020; dal 3 aprile il fornitore interessato a disalimentare/ridurre la fornitura del cliente moroso è tenuto a riavviare la relativa procedura di sospensione e procedere nuovamente alla sua costituzione in mora.

Tale provvedimento, cogliendo la gravità dell’emergenza si pone in linea di continuità con quanto osservato sinora.

Orbene, nella stessa ottica, si evidenzia che, per ciò che riguarda il recupero delle somme nei confronti dei morosi, sarebbe opportuno che l’Amministratore,  per le bollette relative ai mesi di febbraio-aprile 2020, attenda il superamento dalla crisi per procedere in via coattiva, almeno sino alla data prevista per la riapertura delle attività giurisdizionali prevista per il giorno 11 maggio 2020; l’opportunità della conclusione si coglie, oltre che dalla ratio dell’ esimente ex art. 91 DL n. 18 del 17 marzo 2020 ed art. 1256, comma, 2 c.c., anche dalle inevitabili difficoltà che egli incontrerebbe, date le disposizioni volte a paralizzare, almeno fino all'11 maggio 2020, il fruttuoso esperimento delle azioni giudiziarie (considerata la sospensione dell'attività giudiziaria ordinaria, salvo le eccezioni contemplate dal comma 3 dell'art. 83 del D.L. n. 18 del 2020), ovvero, sino al 15 aprile 2020, dei procedimenti di mediazione (ex art. 83, comma 20, il quale fa salva solo la possibilità di celebrazione in via telematica, ove intervenga il consenso di tutte le parti).

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