1. Premessa.
Il Governo con l’adozione del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19 (“Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza epidemiologica da COVID-19”), ha cercato di effettuare un’opera di riordino tra le numerose norme e sanzioni venute a convergere nella situazione di emergenza al momento sussistente, anche in virtù della sovrapposizione normativa tra Stato, regioni ed enti locali.
In una situazione emergenziale come quella in cui ci troviamo, difficoltà nella gestione, anche normativa, sono del tutto comprensibili. Tuttavia, quando la nostra quotidianità risulta oggetto di limitazioni e di divieti, quando su gesti quotidiani, ed in particolare sulle attività, incombe la minaccia di molteplici sanzioni non coordinate tra loro, si genera una situazione di incertezza in cui il diritto rischia di perdere la sua essenziale funzione regolatrice che invece deve possedere di fronte all’emergenza. Per questo motivo è importante che il diritto fornisca un aiuto per superarla, orientando i comportamenti dei cittadini, i quali senza problemi devono poter vedere nello stesso la risposta alla domanda su cosa possono o non possono fare, per tutelare sé stessi e gli altri.
La situazione ora esposta si presenta farraginosa, questo ha reso necessario l’intervento del Governo mediante la decretazione d’urgenza; un’opera volta riorganizzare la normativa di base dell’emergenza COVID-19, restituendo unitarietà e coordinando un quadro normativo articolato, in cui occorre tener conto che la legislazione dell’emergenza resta comunque sottoposta ai principi dello Stato di diritto di cui facciamo parte. A questo punto occorre evidenziare infatti che l’emergenza si presenta come un’eventualità fisiologica nello stato di diritto, prevista da diverse disposizioni Costituzionali. Pertanto è bene sottolineare che il diritto dell’emergenza deve sempre e comunque risultare conforme ai principi essenziali su cui si fonda il nostro ordinamento.
2. Il diritto dell’emergenza COVID-19 e la riorganizzazione normativa.
Dall’inizio della pandemia il perno della normativa emergenziale è stato il d.l. 23 febbraio 2020, n. 6, che ha costituito la base con cui legittimare misure limitative di libertà e diritti fondamentali (le c.d. misure di contenimento) mediante una serie di d.p.c.m. e di numerosi provvedimenti regionali. In particolare, il decreto in esame all’art. 3, co. 4. prevedeva una sanzione penale, facendo riferimento l’art. 650 c.p., per il mancato rispetto delle misure di contenimento della diffusione del virus.
La rilevanza del d.l. n. 19/2020 risiede nel fatto che lo stesso, all’art. 5, abroghi il d.l. n. 6/2020 finendo per divenire esso stesso il perno della disciplina emergenziale. I primi tre articoli del decreto-legge introducono un nuovo assetto, che ruota attorno ai seguenti punti cardine: estensione delle misure di limitative del virus a tutto il territorio nazionale; carattere tassativo delle misure; carattere preminente e centrale della competenza statale e competenza eccezionale delle regioni attribuita per introdurre in via d’urgenza misure limitative; divieto per i sindaci di adottare, a pena di inefficacia; ordinanze contingibili e urgenti volte a far fronte all'emergenza in contrasto con le misure statali.
3. Le conseguenze sanzionatorie per il mancato rispetto delle misure.
Particolare importanza acquista poi la nuova normativa sanzionatoria prevista per l’inosservanza delle misure di contenimento (art. 4): interessando tutti i cittadini, in quanto ognuno di noi risulta destinatario di una o più misure (a partire dai limiti posti alla libertà di circolazione) con il conseguente rischio di incorrere in sanzioni per l’inosservanza.
4. La previgente disciplina oggi abrogata.
Il d.l. n. 6/2020 puniva il mancato rispetto delle misure di contenimento con la disposizione contenuta nell’art. 3, co. 4, secondo cui: “salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è punito ai sensi dell'articolo 650 del codice penale”. Tale disposizione è stata ora abrogata. Essa configurava una figura di reato autonoma rispetto a quella della inosservanza dei provvedimenti dell’autorità, di cui all’art. 650 c.p. La fattispecie, coniata per far fronte all’emergenza coronavirus, infatti, era interamente descritta nel d.l. n. 6/2020ed era pertanto dotata di autonomia precettiva (“il mancato rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto”): il richiamo all’art. 650 c.p. risultava riferito solo alla pena, e quindi esclusivamente per l’individuazione della sanzione (l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro; ci si trovava quindi di fronte ad una contravvenzione). A questo punto occorre evidenziare come questo elemento non sia stato ben chiarito nelle comunicazioni ufficiali, tanto è vero che anche gli organi istituzionali, tra i quali spiccano le comunicazioni del Ministero dell’Interno, facevano espresso riferimento al numero di “denunce ex art. 650 c.p.”.
Trattasi di un’imprecisione non di scarsa rilevanza, se si tiene conto che la contravvenzione prevista dall’art. 650 c.p., secondo l’orientamento della giurisprudenza prevalente, punisce il mancato rispetto di provvedimenti individuali e concreti rivolti a specifici soggetti, e non l’inosservanza di atti normativi generali e astratti, come quelli che vengono in rilievo nel caso di specie. Tale ricostruzione da un lato rendeva inapplicabile l’art.650 c.p. all’emergenza coronavirus e, dall’altro lato, esclude la possibilità che la norma risulti oggetto di altrimenti inevitabili censure di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio della riserva di legge in materia penale. L’art.25 co. 2 Cost. non risulta infatti violato da norme penali che puniscono il mancato rispetto di “categorie” di provvedimenti della p.a., centrale o periferica: “il singolo provvedimento amministrativo, del quale la legge punisce l’inosservanza, è infatti estraneo al precetto penale, perché non aggiunge nulla all’astratta previsione legislativa: è solo un accadimento concreto che va ricondotto nella classe di provvedimenti descritta dalla norma incriminatrice”. Contrastano invece con il principio della riserva di legge le disposizioni penali che sanzionano il mancato rispetto di atti normativi generali e astratti di fonte sub-legislativa, i quali non prevedono solo una specificazione tecnica del precetto (secondo la logica della riserva tendenzialmente assoluta), ma forniscono un contributo alla descrizione dello stesso, ad esempio mediante l’individuazione di divieti funzionali alla prevenzione del contagio. In questi casi, si è soliti parlare di norme penali in bianco (categoria (in cui è generalmente ricondotto erroneamente l’art. 650 c.p.).
A questa categoria era parzialmente riconducibile l’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, con riguardo alle misure atipiche di cui all’art. 2: le “ulteriori misure”, non meglio specificate, rimesse alle autorità competenti. Anche per questo motivo il d.l. n. 19/2020, ha provveduto ad adeguare la disciplina emergenziale ai principi costituzionali, da un lato escludendo la possibilità di ricorrere a strumenti di contenimento atipici, da parte all’autorità amministrativa, e, per altro verso, rinunciando allo strumento penale per sanzionare l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità.
5. La funzione dell’art. 650 c.p.
Chiarito il quadro normativo antecedente ora abrogato, occorre precisare che il richiamo al trattamento sanzionatorio dell’art. 650 c.p. ha da subito destato molte perplessità. L’art. 650 c.p. prevede infatti un reato generalmente classificato come bagatellare, punito con le pene dell’arresto (fino a tre mesi) o dell’ammenda (fino a 206 euro). Trattasi di una contravvenzione oblazionabile, secondo quanto previsto dall’art. 162 bis c.p., e che permette quindi la definizione del procedimento penale con il pagamento della somma di euro 103, a cui consegue l’estinzione del reato. Facendo riferimento ai dati fornitici dal Ministero dell’Interno, in due settimane, tra l’11 e il 24 marzo, sono state denunciate per il reato di cui parliamo circa 100.000 persone. Risulta evidente come l’autorità giudiziaria, già alle prese con il problema della gestione della macchina della giustizia, durante questo periodo di emergenza e in quello successivo, si troverebbe a dover gestire un numero enorme di fascicoli, con un notevole dispendio di tempo, risorse ed energie. Tutto questo a fronte di un risultato irrisorio, consistente nel pagamento di 103 euro, a cui si sarebbe giunto solo nei casi in cui il P.M. avesse richiesto al g.i.p. l'emissione di un decreto penale di condanna o avesse esercitato in altro modo l’azione penale. Diversamente, in maniera più verosimile, i procedimenti avviati con l’attività di controllo, sarebbero finiti in in prescrizione, senza giungere ad una reale punizione del reato.
6. L’art. 4, co. 1, e l’introduzione di un nuovo illecito amministrativo sanzionatorio.
Per queste motivazioni il Governo è intervenuto con il d.l. n. 19/2020, abrogando la norma incriminatrice di cui all’art. 3, abbandonando lo strumento penale, quanto meno di regola, e delegando la repressione dell’inosservanza delle misure ad un nuovo illecito amministrativo punitivo.
L’art. 4, co. 1 del d.l. n. 19/2020, sanziona l’inosservanza delle misure previste dall’art. 1, co. adottate ai sensi dell’art. 2, comma 1 (dal Presidente del Consiglio dei Ministri) ovvero dell’art. 3 (dai Presidenti delle regioni).
Il nuovo illecito amministrativo può essere realizzato sia con dolo sia con colpa, in virtù di quanto previsto dalla regola generale di cui all’art. 3, co. 1 l. n. 689/1981. La punibilità dell’agente richiede la conoscenza, o quanto meno la conoscibilità, della misura inosservata, ovvero il provvedimento che la dispone; l’errore incolpevole sul fatto ne esclude la responsabilità (art. 3, co. 2 l. n. 689/1981). La responsabilità è inoltre esclusa, secondo quanto previsto dall’art. 4 l. n. 689/1981, quando il fatto (ad es. l’allontanamento dall’abitazione) sia posto in essere in stato di necessità (per scongiurare il pericolo di un danno grave alla persona propria o altrui: ad es., per acquistare un farmaco o per soccorrere una persona in pericolo, se non esistono alternative alla violazione della misura disposta dall’autorità). Inoltre secondo all’art. 4 l. n. 689/1981, potranno assumere rilevanza, anche, la legittima difesa, l’adempimento di un dovere e l’esercizio di una facoltà legittima. In fine occorre evidenziare che, secondo l’art. 5 della l. n. 689/1981 è possibile la configurazione del concorso di persone nell’illecito amministrativo, da ciò ne consegue che ciascuno dei concorrenti potrà essere assoggettato alla conseguente sanzione.
È stata poi introdotta una sanzione amministrativa pecuniaria da 400 a 3000 euro, suscettibile di essere raddoppiata nelle ipotesi di reiterazione della “medesima disposizione”. Il dato letterale presta il fianco a due possibili interpretazioni: una prima, che ritiene integrata la reiterazione in caso di violazione dell’art. 4, co. 1 (la “disposizione” che configura l’illecito), qualunque sia la misura di contenimento inosservata; una seconda, maggiormente garantista, che diversamente attribuisce la nozione di “disposizione” alla misura di contenimento e, quindi, finisce per attribuire alla reiterazione natura simile a quella di una specie della ‘recidiva’ specifica.
Con riferimento al mancato rispetto di talune disposizioni, inerenti attività commerciali, professionali e d’impresa, è disciplinata poi la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Nelle ipotesi di reiterazione dell’illecito (da intendersi secondo quanto detto poc’anzi, come ‘recidiva’ specifica), la sanzione amministrativa accessoria deve essere applicata nella misura massima (30 giorni), ovvero in misura fissa; una disciplina questa che potrebbe essere oggetto di dubbi circa la relativa legittimità costituzionale, in virtù della recente sentenza della Consulta con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale delle pene accessorie fisse previste per la bancarotta fraudolenta (Corte cost. sent. n. 222/2018); questo ove venisse riconosciuta la natura sanzionatoria (e quindi penale) della misura in esame. Tale misura può inoltre essere applicata in via cautelare, nell’immediatezza del fatto, infatti al momento dell’accertamento della violazione, “ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni. Il periodo di chiusura provvisoria è scomputato dalla corrispondente sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione”. Circa il momento applicativo della misura, in mancanza di una espressa previsione da parte del decreto-legge, è possibile ritenere che la stessa debba avvenire dopo il periodo di sospensione dell’attività dovuta al rispetto della misura di contenimento.
Il quadro normativo è reso completo dalla previsione una circostanza aggravante nei casi in cui il mancato rispetto delle misure di contenimento avvenga attraverso l’uso di un veicolo. In tali ipotesi le sanzioni sono aumentate fino a un terzo, da ciò ne deriva quindi che l’illecito potrà essere punito con una sanzione amministrativa pecuniaria fino a 4000 euro.
Per quanto riguarda il pagamento della pena pecuniaria l’art. 4, co. 3 prevede che lo stesso possa avvenire in misura ridotta, facendo riferimento alla normativa contenuta nel codice della strada nell’art. 202, co. 1, 2 e 2.1.
È quindi possibile pagare la sanzione pecuniaria (nell’ammontare minimo di 400 euro entro 60 giorni dalla contestazione o dalla notificazione), se il pagamento avviene entro 5 giorni, in misura ridotta del 30%: per l’ammontare di 280 euro.
7. I rapporti tra le norme sanzionatorie convergenti in materia.
Con riferimento ai rapporti con altri reati, l’art. 4, co.1 prevede una clausola di sussidiarietà “salvo che il fatto costituisca reato”. Questo determina l’inapplicabilità della disciplina generale di cui all’art. 9 l. n. 689/1981, in base alla quale, quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, trova applicazione la disposizione speciale. L’illecito amministrativo introdotto, quindi, non troverà applicazione nei casi in cui il fatto sanzionato – ovvero il mancato rispetto delle misure di contenimento – integri un diverso reato: come nell’ipotesi prevista dalla nuova contravvenzione contenuta nell’art. 4, co. 6 del decreto-legge, inerente il mancato rispetto della quarantena da parte di chi sia risultato positivo al virus. L’illecito amministrativo potrà invece concorrere con i reati configurabili mediante la commissione di fatti diversi connessi all’inosservanza delle misure di contenimento (ad es., le lesioni colpose, l’omicidio colposo, l’epidemia colposa, ovvero, nei limiti in cui siano configurabili, i reati di falso).
8. Il nuovo reato (contravvenzionale) di ‘inosservanza della quarantena’.
Una nuova figura di reato è stata prevista in caso di violazione del “divieto assoluto di allontanarsi dalla propria abitazione o dimora per le persone sottoposte alla misura della quarantena in quanto risultate positive al virus”. Tale scelta trova giustificazione nel più alto grado di pericolo che la suddetta violazione determina per la salute pubblica e per il contenimento dell’epidemia in atto.
La normativa è contenuta nell’ art. 2, co. 1 lett. e) del decreto-legge. Non rientra invece nel reato in esame, ma nell’illecito amministrativo di cui sopra, il mancato rispetto della “quarantena precauzionale” prevista quale misura limitativa dall’art. 2, co.1, lett. d) del decreto-legge per coloro i quali abbiano avuto contatti stretti con casi accertati di coronavirus o che rientrino da viaggi all’estero.
Il legislatore, conformemente a quanto fatto in precedenza, ha individuato la pena mediante richiamo, questa volta non all’art.650 c.p., ma dell’art. 260 r.d. n. 1265/1934, come modificato dall’art. 4, co. 7 del d.l. n. 19/2020, punito ora con l’arresto da 3 a 18 mesi e l’ammenda da 500 a 5000 euro. La possibile applicazione congiunta delle pene dell’arresto e dell’ammenda determina l’esclusione dell’oblazionabilità delle sanzioni. Trovandoci di fronte ad una contravvenzione, questa potrà essere posta in essere sia con dolo che con colpa, mentre il tentativo e la recidiva non saranno configurabili.
Passando alla analisi della natura giuridica del reato, ci troviamo al cospetto di un reato di pericolo per la salute pubblica, nello specifico un reato di pericolo astratto; il pericolo trova fondamento su una presunzione ragionevole in quanto sorretta da risultanze scientifiche comprovate, riguardando l’abbandono del luogo di isolamento di persona positiva al virus. Non sarà quindi necessario l’accertamento da parte del giudice del concreto pericolo causato dal soggetto agente mediante il mancato rispetto della misura restrittiva. Tuttavia andrà comunque accertata la legittimità del provvedimento che dispone la misura.
Con riferimento ai rapporti con altre ipotesi di reato, la contravvenzione in esame trova applicazione salvo che il fatto integri un delitto colposo contro la salute pubblica (art. 452 c.p.) o comunque un più grave reato (doloso o colposo che sia), inclusa l’epidemia. In particolare con riferimento a quest’ultimo delitto, la contravvenzione si pone in un rapporto di gravità progressiva, per la messa in pericolo della salute pubblica. L’epidemia colposa (punita con la reclusione da 1 a 5 anni) risulterà integrata, prevalendo sulla contravvenzione in esame, nei casi in cui venga accertato che la condotta dell’agente abbia determinato il contagio di una o più persone e la possibilità di una ulteriore diffusione del virus in relazione ad un numero indeterminato di soggetti.
9. I profili di diritto intertemporale.
Con l’abrogazione della contravvenzione di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020, sorge il problema inerente i fatti commessi durante la vigenza di tale norma. Il fondamento normativo dell’intervento in esame va ravvisato nella rinuncia all’opzione penale, al fine di non appesantire il carico giudiziario portandolo al collasso (si rammendano le 100.000 denunce), dovuto anche alla forzata sospensione delle attività. Per questo motivo si è scelto di rinunciare alla pena ed al processo penale per affidare la risposta punitiva a sanzioni amministrative, irrogate dal prefetto o dalle regioni.
Dal dato normativo e soprattutto dalla ratio legis ad esso sottesa, risulta evidente la volontà del legislatore di procedere a una depenalizzazione, determinando ai sensi e per gli effetti dell’art.2, co. 2 c.p. la perdita di rilevanza penale (abolitio criminis) dei fatti riconducibili al nuovo illecito amministrativo. Pere questa ragione, per i fatti pregressi nessuno potrà essere giudicato per il reato di cui all’art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020 (salva l’ipotesi della violazione della quarantena da parte del positivo al virus, che non ha perso la sua rilevanza penale ai sensi dell’art. 4, co. 6 d.l. n. 19/2020, agli effetti dell’art. 2, co. 4 c.p.). da ciò ne consegue che procedimenti pendenti presso le varie procure della penisola dovranno essere archiviati.
La situazione scaturita nella vigenza della precedente normativa aveva generato nel legislatore due diverse esigenze ovvero: scongiurare il collasso del sistema giudiziario, a fronte di 100.000 denunce presentate in due settimane, ed evitare che gli autori delle violazioni restassero impuniti.
La prima esigenza come detto, è stato raggiunta mediante una depenalizzazione impropria; impropria in quanto non si è determinata la trasformazione di una contravvenzione in illecito amministrativo, ma si è abrogato un reato e sono state introdotte, al suo posto, un illecito amministrativo e un delitto configurati in modo diverso rispetto alla contravvenzione. Diversamente la seconda esigenza è stata soddisfatta mediante una norma transitoria, prevista nell’art. 4, co. 8, che prevede l’applicabilità retroattiva delle nuove sanzioni amministrative.
La norma transitoria prevede il seguente dato normativo: “le disposizioni del presente articolo che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, ma in tali casi le sanzioni amministrative sono applicate nella misura minima ridotta alla metà. Si applicano in quanto compatibili le disposizioni degli articoli 101 e 102 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507”. Occorre evidenziare come vi sia un improprio riferimento alle disposizioni “che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative”, improprio in quanto il concreto non è avvenuta nessuna formale sostituzione, essendo contestabile ai 100.000 denunciati ai sensi dell’art. 650 c.p. (rectius, art. 3, co. 4 d.l. n. 6/2020) il nuovo illecito amministrativo. Il richiamo degli artt. 101 e 102 della legge di depenalizzazione del 1999 opera con riferimento alla disciplina della trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente, da parte dell’autorità giudiziaria.
Occorre evidenziare, che ove non fosse stata prevista tale disciplina transitoria, il principio di irretroattività, operante anche per gli illeciti amministrativi sanzionatori, avrebbe impedito l’applicazione del nuovo illecito amministrativo ai fatti antecedenti la sua introduzione. Questo in virtù, non solo disposto normativo dell’art. 1 della l. n. 689/1981, ma soprattutto per quanto statuito dalla Corte costituzionale (sent. nn. 196/2010 e 223/2018), che ha esteso l’applicazione del principio di irretroattività costituzionalmente garantito, contenuto negli art.25, co. 2 e 117, co. 1 Cost., in rapporto all’art. 7 Cedu, alle norme che introducono (o inaspriscono) sanzioni amministrative di carattere afflittivo-punitivo, come quella in esame.
Per queste ragioni, già con la depenalizzazione del 2016 (d.lgs. n. 8/2016, art. 8, co. 3) – che anche aveva determinato l’applicazione retroattiva delle sanzioni amministrative previste in luogo di quelle penali – era stato disposto che non fosse possibile l’irrogazione retroattiva di una sanzione amministrativa pecuniaria “per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’art. 135 c.p.”. Il d.l. n. 19/2020 risponde quindi ad esigenze analoghe quando prevede che le sanzioni applicate in via retroattiva siano irrogate nella misura minima, ridotta della metà. Da ciò ne deriva che i fatti pregressi saranno puniti con 200 euro di sanzione amministrativa pecuniaria.
Il disposto normativo dell’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 risulta compatibile con il principio di irretroattività di cui all’art. 25, co. 2 Cost. solo ove non determini una sanzione del reo più severa di quella cui egli sarebbe stato sottoposto sulla base della normativa vigente al momento del fatto in base alla quale poteva prevedere e calcolare la propria condotta (questo come esposto poc’anzi è il principio su cui si fonda la norma transitoria del 2016) e ciò è quanto avviene in relazione alla sanzione amministrativa pecuniaria, non superiore al massimo dell’ammenda prevista per l’art. 650 c.p., alternativa all’arresto. Il richiamo all’art. 102 del d.lgs. n. 507/1999 determina inoltre la possibilità del pagamento in misura ridotta, nei primi 60 giorni dalla notifica della contestazione, determinando un’ulteriore riduzione dell’importo della sanzione.
Permangono invece forti dubbi circa la compatibilità costituzionale della disciplina transitoria di cui all’art. 4, co. 8 d.l. n. 19/2020 e l’art. 25, co. 2 Cost. con riferimento alla sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività (commerciale, professionale ed imprenditoriale, ecc.), occorre evidenziare infatti come un’interpretazione Costituzionalmente orientata della norma porti ad escludere una possibile applicazione retroattiva, dovendo indurre l’autorità amministrativa a non irrogare la sanzione accessoria in esame in relazione ai fatti commessi prima dell’entrata in vigore del d.l. n. 19/2020.
10. Validità temporale della nuova disciplina sanzionatoria.
Per completezza espositiva, risulta opportuno dar conto, sempre nella prospettiva del diritto intertemporale, dei riflessi di carattere emergenziale della disciplina penale introdotta dal d.l. n. 19/2020.
Il disposto normativo dell’art. 4, concernente le due nuove figure di reato (la contravvenzione e il delitto), l’inasprimento delle pene per la contravvenzione di cui all’art. 260 r.d. n. 1265/1934 e il nuovo illecito amministrativo, non hanno carattere temporaneo. Il termine del 30 luglio 2020, contenuto nell’art. 1, co. 1, non concerne la vigenza delle disposizioni del decreto-legge, ma è il termine dello stato di emergenza previsto con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, entro il quale possono essere adottate le misure di contenimento del contagio, il cui mancato rispetto integra gli illeciti, penali ed amministrativi, previsti dall’art.4.
Questo determina che scaduto il termine in esame tali illeciti non potranno più essere commessi, venendo meno il presupposto per la loro integrazione, ma non significa che cesserà la vigenza della disciplina oggi introdotta per far fronte all’emergenza. E anche nel caso in cui in futuro dovesse venire abrogata la disciplina penale ora introdotta, le norme incriminatrici, previste con una legge penale eccezionale ai sensi dell’art. 2, co. 5 c.p. (un caso di scuola), rimarrebbero comunque ultra-attive.
11. Conclusioni.
Volendo tirare le fila di quanto detto fin ora, possiamo ritenere che il recente intervento normativo debba essere positivamente accolto in virtù dello sforzo effettuato dal legislatore, volto fornire una base normativa alle misure di contenimento e a raccordare l’azione dello Stato, delle regioni e dei comuni in un’attività di prevenzione della diffusione dell’epidemia. È inoltre apprezzabile la scelta di regolamentare nuovamente la materia accantonando il diritto penale ed il relativo processo per punire il mancato rispetto delle misure limitative del contagio (salvo la fattispecie più grave, la cui repressione resta affidata al diritto e al processo penale). Infatti, solo chi non conosce il concreto funzionamento del sistema penale può ritenere che la depenalizzazione, nel caso di specie, coincida con una mitigazione della risposta sanzionatoria. In realtà ci troviamo dinanzi ad un’ipotesi in cui – come anche la Corte costituzionale ha evidenziato in una recente pronuncia (n. 223/2018) – le sanzioni amministrative, anche in virtù della loro maggiore semplicità attuativa, finiscono per incidere sui trasgressori (si pensi alla sanzione accessoria per le attività commerciali e imprenditoriali) in maniera ben maggiore rispetto a quelle penali, finendo in tal modo per risultare maggiormente efficaci, al fine di dissuadere i cittadini dal compiere atti contrari alle misure di contenimento poste in essere per limitare il diffondersi dell’epidemia.