Responsbailita’ solidale ed art. 29 del d.lgs. 276/2003
L’art. 29, comma 2, del d.lgs. 276/2003 in origine stabiliva che, in caso di appalto di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l'appaltatore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti. Lasciando da parte le osservazioni fatte da autorevoli autori in riferimento all’espressione riguardante i contributi previdenziali (i quali non c’è nessun dubbio che vengono pagati agli istituti previdenziali e non ai lavoratori), il legislatore ha previsto la responsabilità solidale solo nei confronti dei lavoratori coinvolti in appalti di servizi; escludendo quelli degli appalti di opere, con la conseguenza che, per quest’ultimi si applicherà soltanto la garanzia prevista dall’art. 1676 c.c.
In ragione di tale carenza, il legislatore delegato ha modificato il comma 2 dell’art. 29, con l’art. 6, comma 2, del d.lgs. 251/2004, in cui si precisa la responsabilità solidale del committente e dell’appaltatore in caso di appalto di opere o di servizi. Si tratta, a mio avviso, di una garanzia migliorativa rispetto a quella prevista dall’art. 3 della L. 1369/1960, che regolava l’interposizione di manodopera (oggi abrogata) e dall’art. 1676 c.c. L’art. 29 del D. Lgs. 276/2003 è migliorativa rispetto all’art. 3 della L. 1369/1960, in quanto la prima disposizione parla di responsabilità solidale tra appaltatore e committente sia per il trattamento retributivo che contributivo e non si limita, come fa la L. 1369/1960, a prevedere solo che il lavoratore avesse lo stesso trattamento economico dei dipendenti del committente. E’, a sua volta, migliorativa rispetto all’art. 1676 c.c., dal momento che la solidarietà indicata dall’art. 29 riguarda tutto il credito retributivo e contributivo e non nei limiti del debito che il committente ha verso l’appaltatore al tempo della domanda.
Occorre evidenziare che sia l’originario art. 29 del D. Lgs. 276/2003 sia l’attuale art. 29 stabiliscono che il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto. Questa norma sta a significare che, fermo restando che la prescrizione dei crediti retributivi avviene in 5 anni e, quindi, il lavoratore può agire nei confronti dell’appaltatore nel termine di 5 anni, nel corso del primo anno di questi 5 può far valere il suo diritto nei confronti del committente.
Infine, l’art. 29, 3ter del D. Lgs. 276/2003, modificato dal d.lgs. 251/2004, precisa che tale disposizione non si applica “qualora il committente sia una persona fisica che non esercita attività di impresa o professionale”.
Infortunio sul lavoro ed art. 26 del d.lgs. 81/2008
In tema di infortuni sul lavoro, il dovere di sicurezza gravante sul datore di lavoro opera anche in relazione al committente, dal quale non può tuttavia esigersi un controllo pressante, continuo e capillare sull'organizzazione e sull'andamento dei lavori, occorrendo verificare in concreto quale sia stata l'incidenza della sua condotta nell'eziologia dell'evento, a fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l'esecuzione dei lavori, avuto riguardo alla specificità dei lavori da eseguire, ai criteri seguiti dallo stesso committente per la scelta dell'appaltatore o del prestatore d'opera, alla sua ingerenza nell'esecuzione dei lavori oggetto di appalto o del contratto di prestazione d'opera, nonchè alla agevole ed immediata percepibilità, da parte del committente, di situazioni di pericolo (Cass. pen., n. 27296 del 2017 in una fattispecie in tema di appalto di lavori di pulizia all'interno dell'azienda, in cui la Corte ha annullato la sentenza che aveva ritenuto la responsabilità del committente in relazione al reato di lesioni colpose, per aver dato incarico ad un lavoratore di pulire il piazzale della ditta usando soda caustica, senza assicurarsi che il datore di lavoro appaltatore avesse spiegato al dipendente la necessità di cambiare gli indumenti contaminati dalla predetta sostanza pericolosa).
Rimane anche fermo il principio che, qualora il lavoratore presti la propria attività in esecuzione di un contratto d'appalto, il committente è esonerato - art. 26 del d.lgs. 81/2008 - dagli obblighi in materia antinfortunistica, con esclusivo riguardo alle precauzioni che richiedono una specifica competenza tecnica nelle procedure da adottare in determinate lavorazioni, nell'utilizzazione di speciali tecniche o nell'uso di determinate macchine (Cacc. Pen., n. 12228 del 2015 che, in applicazione del principio, ha escluso che potesse andare esente da responsabilità il committente che aveva omesso di attivarsi per prevenire il rischio, non specifico, di caduta dall'alto di un operaio operante su un lucernaio).
Tuttavia va anche ribadito che il committente è titolare di una autonoma posizione di garanzia e può essere chiamato a rispondere dell'infortunio subito dal lavoratore qualora l'evento si colleghi causalmente ad una sua colpevole omissione, specie nel caso in cui la mancata adozione o l'inadeguatezza delle misure precauzionali sia immediatamente percepibile senza particolari indagini (Cass. pen., n. 10608 del 2013, in un caso di inizio dei lavori nonostante l'omesso allestimento di idoneo punteggio).
Vale anche l'ulteriore precisazione che il committente, anche nel caso di affidamento dei lavori ad un'unica ditta appaltatrice, c.d. cantiere "sotto - soglia", è titolare di una posizione di garanzia idonea a fondare la sua responsabilità per l'infortunio, sia per la scelta dell'impresa - essendo tenuto agli obblighi di verifica imposti dal d.lgs. 81/2008 - sia in caso di omesso controllo dell'adozione, da parte dell'appaltatore, delle misure generali di tutela della salute e della sicurezza sui luoghi di lavoro (Cass. pen., n. 23171 del 2016, che, in applicazione di tale principio, ha ritenuto immune da censure la sentenza impugnata, che aveva riconosciuto la responsabilità a titolo di omicidio colposo del committente, il quale aveva omesso non solo di verificare l'idoneità tecnico professionale della ditta appaltatrice, in relazione alla entità e tipologia dell'opera, ma anche di attivare i propri poteri di inibizione dei lavori, a fronte della inadeguatezza dimensionale dell'impresa e delle evidenti irregolarità del cantiere).
Subentro di nuovo appalto e trasferimento d’azienda
L’art. 29, 3° comma, del D. Lgs. 276/2003, come modificato dall’art. 30, comma 1, della l. 122 del 2016 pone fine all’annosa questione in tema di successione nell’appalto, vale a dire ha precisato che, in forza di legge, di CCNL o di clausola del contratto di appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte di azienda l’acquisizione del personale già impiegato nell’appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore.
In passato, tale problematica è stata oggetto di acceso dibattito giurisprudenziale. Per la giurisprudenza dominante (Cass. civ., n. 11575 del 1997) non è configurabile la fattispecie del trasferimento d’azienda nel caso di esaurimento di un rapporto di appalto di servizi in capo ad un’impresa e della successione di altra impresa aggiudicatrice della gara nell’espletamento del medesimo servizio ed in conseguenza del nuovo contratto di appalto. Del resto, tale impostazione non si pone in contrasto con la direttiva comunitaria C.E.E. n. 187/77, la quale concerne specificamente, e soltanto, l'evenienza del trasferimento di azienda, sia pure nella accezione più ampia possibile, considerando che la stessa Corte di Giustizia delle Comunità Europee, investita della questione dei limiti di applicazione della cennata direttiva, ne ha fornito una precisa e puntuale interpretazione in tale senso, concludendo che essa riguarda unicamente, ai fini del riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori, “il caso di trasferimento di impresa, di stabilimenti o di parti di essi, e si applica qualora, dopo la fine di un primo affitto di un'azienda, quest'ultima venga affittata, senza interruzione della attività, ad un nuovo affittuario, cui il personale rimanga vincolato in virtù di un rapporto di lavoro”. Ed aggiungendo, altresì, che “il criterio decisivo per stabilire se si configuri un trasferimento ai sensi di detta direttiva consiste nella circostanza che la entità in questione conservi la propria identità; che la stessa mira a garantire la continuità dei rapporti di lavoro esistenti nell'ambito di una entità economica, indipendentemente dal cambiamento del titolare; e che per il suo stesso obiettivo la direttiva è intesa a garantire la stabilità dell'impiego e di assicurare ai lavoratori il mantenimento dei loro diritti in caso di trasferimento di imprese, sì che tale finalità giustifica la deroga alla regola dell'effetto relativo dei contratti, in quanto, ove si limitasse l'applicazione della direttiva alla ipotesi di trasferimento diretto, senza tener conto del fatto - assorbente - che l'attività della impresa non è mai cessata, se ne ridurrebbe considerevolmente la portata e, di conseguenza, l'efficacia”.
A fronte di tale orientamento, la giurisprudenza comunitaria, ossia CGCE, 25 gennaio 2001, causa n. 172/99, è intervenuta qualificando la successioni di appalti come trasferimento d’azienda solo nell’ipotesi in cui il nuovo appaltatore non si avvale di una propria organizzazione produttiva indipendente ma subentra nella titolarità dell’organizzazione dell’appaltatore che lo ha preceduto.