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Prestazione di servizi informatici. Valido l'appalto anche se l’appaltatore utilizza macchine e mezzi del committente

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Rapporto di lavoro

Prestazione di servizi informatici. Valido l'appalto anche se l’appaltatore utilizza macchine e mezzi del committente

mercoledì, 12 febbraio 2020

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata in materia di appalti illeciti nell’ambito di prestazioni di lavoro aventi ad oggetto servizi IT commissionati ad un’impresa appaltatrice. 

Con la sentenza n. 251 del 9 gennaio 2020, la Corte di Cassazione ha stabilito che in tema d'interposizione nelle prestazioni di lavoro, l'utilizzazione, da parte dell'appaltatore, di capitali, macchine e attrezzature fornite dall’impresa committente implica una presunzione legale assoluta di sussistenza dello pseudoappalto, fattispecie vietata dall'art. 1, primo comma, della legge n. 1369 del 1960 (oggi abrogata dal D. Lgs. n. 276/2003), solo quando l’attribuzione dei mezzi sia talmente rilevante da far diventare secondario e accessorio il contributo dell’appaltatore.
Spetta al giudice di merito verificare la misura modesta [o meno] di tale apporto che va valutata considerando l’oggetto e il contenuto proprio dell’appalto (cfr. Cass. n. 25064 del 2013 e Cass. n. 16488 del 2009).


Il caso si era aperto quando il dipendente dell’appaltatore era stato inviato presso la committente dalla propria datrice di lavoro a svolgere prestazioni di sviluppo software e manutenzione dei sistemi informatici in favore della committente stessa. Il dipendente dell’appaltatore, nello svolgimento delle proprie operazioni professionali utilizzava il software di proprietà della committente e disponeva di una personale postazione di lavoro presso la sede della committente medesima, composta da scrivania, pc connesso alla rete aziendale e telefono.
In ragione di tale situazione, il dipendente aveva promosso un’azione legale contro l’impresa committente, ritenendo che nel caso di specie si stesse verificando un’ipotesi di appalto illecito, in dettaglio di interposizione di prestazioni di lavoro, in violazione dell’art. 1 L. n. 1369/60 e che dunque dovesse applicarsi quanto disposto dall’art. 29, comma 3-bis, D.Lgs. n. 276/2003, la quale disposizione prevede che  “3-bis. Quando il contratto di appalto sia stipulato in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell’articolo 27, comma 2”.


I giudici di merito però non hanno ritenuto sussistere nel caso di specie elementi tali da far ritenere che si fosse verificata la fattispecie illecita dedotta dall’attore e hanno concluso per la legittimità del contratto di appalto.
Posizione quella di merito che è stata confermata anche in sede di legittimità, dove gli ermellini, cui il dipendente si era rivolto, hanno avuto modo di precisare che non si può presumere in via assoluta la sussistenza della fattispecie vietata di interposizione di manodopera nell’ambito di un appalto endoaziendale solo perché la committente fornisce mezzi e strumenti di lavoro, sempre che tale fornitura non risulti significativa nell’ambito dell’economia dell’appalto. La rilevanza di tale apporto deve essere valutata in base alle circostanze del caso e in particolare considerando l’oggetto dell’appalto e il contenuto specifico dello stesso.


L'anzidetta presunzione legale assoluta, per la Cassazione, non è certamente configurabile nel caso in cui il contributo dell'appaltatore sia apprezzabile e si manifesti, ad esempio, attraverso il conferimento di capitale (diverso da quello impiegato in retribuzioni ed in genere per sostenere il costo del lavoro), know how, software e, in genere, beni immateriali, aventi fondamentale importanza nel contesto dell'appalto.
Tale valutazione assume maggiore importanza a seguito dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003 che ha abrogato la presunzione di cui alla L. n. 1369 del 1960; pertanto, dall’entrata in vigore del citato decreto, l’interposizione nelle prestazioni di lavoro non è completamente vietata, tuttavia, per essere genuina deve rispettare i limiti e le condizioni di cui agli articoli 20 e 21 del medesimo decreto, con la conseguenza che ove questa si realizzi in violazione dei limiti e delle condizioni poste dagli artt. 20 e 21 dello stesso decreto, si riespande il divieto, immanente all'ordinamento, di dissociazione tra l'imputazione formale del rapporto di lavoro e l'utilizzazione della prestazione lavorativa, con diritto dei lavoratori di rivendicare direttamente nei confronti dell'utilizzatore la costituzione di un rapporto di natura subordinata, come riconosciuto dall'art. 27 del D.Lgs. citato (Cass. n. 27213/2918).


Dunque, oggi, scrive la Cassazione nella sentenza in esame, perché l’appalto sia autentico e non formulato in violazione di legge, "non è più richiesto che l'appaltatore sia titolare dei mezzi di produzione, per cui anche se impiega macchine e attrezzature di proprietà del committente, è possibile provare altrimenti - purché vi siano apprezzabili indici di autonomia organizzativa - la genuinità dell'appalto; così mentre in appalti che richiedono l'impiego di importanti mezzi o materiali cd. "pesanti", il requisito dell'autonomia organizzativa deve essere calibrato, se non sulla titolarità, quanto meno sull'organizzazione di questi mezzi, negli appalti cd. "leggeri" in cui l'attività si risolve prevalentemente o quasi esclusivamente nel lavoro, è sufficiente che in capo all'appaltatore sussista una effettiva gestione dei propri dipendenti" (allo stesso modo da ultimo, Cass. n. 21413 del 2019).

 

Un orientamento giurisprudenziale quest’ultimo che, in verità, appare in contrasto con altre pronunce della stessa Cassazione che, in diverse occasioni, ha ritenuto sussistere le fattispecie di interposizione ed intermediazione di manodopera, ogni qual volta, l’appaltatore, nell’ambito di appalti endoaziendali caratterizzati dall'affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, fornisca al committente una prestazione di lavoro senza organizzare autonomamente la prestazione, ma solo governando la gestione amministrativa dei dipendenti (Cass. n. 5648/2009; Cass. n. 18281/2007; Cass. n. 14302/2002; Cass. n. 27213/2018).
E’ pur vero che per verificare la sussistenza di intermediazione ed interposizione di manodopera, occorre effettuare un’analisi di tutti gli elementi che distinguono il rapporto instaurato tra le parti e appurare se l'impresa appaltatrice, assumendo su di sé il rischio economico dell'impresa, operi realmente in maniera autonoma da un punto di vista organizzativo e gestionale rispetto all’impresa committente; se sia dotata di una propria organizzazione d'impresa; se in concreto assuma su di sé il rischio economico connaturato all'attività produttiva oggetto dell'appalto; da ultimo, se i lavoratori che hanno il compito di effettuare le prestazioni in favore della committente siano effettivamente gestiti dall'appaltatore e operino alle sue dipendenze (Cass., 18281 del 2007; Cass. n. 11957 del 2000).


Tornando al caso di specie, i giudici di merito avevano in verità correttamente rilevato che:

  • il rischio di impresa risultava essere in capo all’appaltatrice, azienda largamente presente sul mercato dei servizi IT alle imprese;
  • che non vi fosse eterodirezione in capo alla committente in quanto sia l'attività “progettuale” che quella di “manutenzione” erano risultate in capo all'appaltatrice, la quale aveva nella sede della committente un proprio referente che era quotidianamente presente, rappresentava l'impresa appaltatrice per ogni questione attinente l'esecuzione dell'appalto e comunicava le istruzioni ai dipendenti dell'appaltatrice.

Si rammenta, ad ogni modo, che un elemento che più di tutti fa emergere la carenza di bontà nel contratto d’appalto, è l’assoggettamento dei dipendenti dello pseudo appaltatore al potere direttivo e di controllo dell'effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative, come sottolineato in più occasioni dalla giurisprudenza (Cass. n. 86431 del 2001, Cass. n. 3196 del 2000, Cass. n. 5087 del 99).

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