Massima
L’azione risarcitoria esperita dal comproprietario di un bene pro indiviso per il minor godimento del bene derivante dalla violazione della normativa edilizia da parte del proprietario confinante, dovendosi presumere che egli abbia agito nell’interesse degli altri comunisti rimasti inerti, dà diritto ad ottenere la liquidazione del danno nella misura necessaria a compensare tutte le disutilità derivanti dalla compromissione delle facoltà dominicali concretizzatesi nel deprezzamento del bene comune.
La vicenda
La realizzazione di alcuni manufatti abusivi induce la comproprietaria del fondo confinante a costituirsi parte civile nel processo penale instaurato per i reati edilizi accertati, chiedendo – e ottenendo – il risarcimento del danno, da liquidarsi in sede civile.
Passata in giudicato la sentenza penale di condanna, la suddetta parte civile, nel frattempo divenuta proprietaria dell’intero immobile danneggiato dagli abusi commessi dal vicino, cita quest’ultimo in giudizio innanzi al tribunale civile per ottenere la liquidazione dei riconosciuti danni.
Sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di primo grado, respinta l’eccezione di difetto di legittimazione attiva all’azione risarcitoria, sull’assunto che essa spetti solo al proprietario esclusivo del fondo e non anche al comproprietario, accoglie la domanda e condanna l’autore dei reati edilizi al pagamento di una somma in favore dell’attrice.
L’appello proposto dal soccombente contro la sentenza di primo grado sortisce l’effetto sperato, in quanto i giudici di secondo grado valorizzano la circostanza che l’attrice è divenuta proprietaria esclusiva dell’intero cespite immobiliare soltanto nel corso del giudizio, essendo, al momento della realizzazione degli abusi edilizi, proprietaria solo di una parte dell’immobile (presumibilmente di un terzo). In tal modo, decurtano di due terzi il risarcimento del danno liquidato dal Tribunale.
Inevitabile il ricorso per cassazione, il cui principale motivo – tra gli altri ...