1. Libertà di scioglimento e principio di indivisibilità. La divisione di singole parti comuni
Il condominio negli edifici è disciplinato nel secondo capo del titolo del codice dedicato alla comunione. A dispetto di tale scelta sistematica – nonché dell’applicabilità al condominio della disciplina in materia di comunione ordinaria, espressamente prevista dall’art. 1139 c.c. – comunione e condominio presentano numerosi profili di divergenza. Si tratta, in entrambi i casi, di situazioni di contitolarità di diritti, ma il condominio edilizio è qualcosa in più della comunione ordinaria. Ed invero, nella comunione semplice il godimento delle cose comuni rappresenta il limite dell’uso individuale da parte dei singoli compartecipi, laddove nel condominio costituisce lo scopo stesso della relazione di comproprietà, in ragione della “relazione di accessorietà” che inevitabilmente lega le parti comuni all’uso e al godimento delle singole unità immobiliari. Pertanto, le norme rispettivamente dedicate ai due istituti sono coerenti con le specificità di essi, l’uno essenzialmente provvisorio e volto allo scioglimento (art. 1111 c.c.), l’altro, all’opposto, tendenzialmente perpetuo (art. 1119 c.c.).
La libertà di scioglimento, difatti, costituisce uno dei canoni fondamentali della disciplina legislativa dettata in tema di comunione. Detta libertà risulta declinata in termini di diritto – dai più considerato come potestativo –, spettante a ciascun partecipante, di domandare in ogni momento la divisione del bene comune, sì da realizzare l’attribuzione in proprietà esclusiva di beni concreti in luogo della quota astratta di comunione e proporzionalmente ad essa. Costituiscono, pertanto, eccezioni le limitazioni contemplate dalla legge alla facoltà di divisione, come confermato dalla previsione per la quale il patto di rimanere in comunione è nullo quando abbia una durata superiore a dieci anni ed è automaticamente ridotto al termine legale, oltre che dal potere dell’autorità giudiziaria di ...