Il procedimento logico-giuridico diretto alla determinazione dell’inquadramento di un lavoratore domestico subordinato, alla luce del disposto generale dell’art. 2103 c.c., non può prescindere da tre fasi successive tra loro e, cioè, dall’accertamento in fatto delle attività lavorative in concreto svolte, dall’individuazione delle qualifiche e dei gradi previsti dal contratto collettivo di categoria e dal raffronto tra il risultato della prima indagine ed i testi della normativa contrattuale individuati nella seconda.
È quanto emerso in un caso di lavoro domestico nel quale il ricorrente conveniva in giudizio l’ex datore di lavoro domestico, esponendo di avere lavorato alle sue dipendenze con contratto di lavoro a tempo indeterminato dal 12 luglio 2016 sino al licenziamento intervenuto il 21 settembre 2017, in qualità di lavoratrice domestica (Sent. n. 22399/2013).
A sostegno della domanda, la parte ricorrente esponeva che, a decorrere dal 13 giugno 2017, il rapporto di lavoro era stato mutato in regime di convivenza, con inquadramento nel livello B del CCNL di categoria, per l’espletamento di 25 ore di lavoro settimanali, dal martedì al sabato dalle 8:00 alle 17:00, e compenso di € 700 mensili, successivamente mutato in € 665 mensili. La lavoratrice domestica deduceva di essere stata addetta, oltre che alla pulizia e cura della casa, alla spesa, alimentare e non, per la famiglia, alla preparazione della cena e all’accudimento dei due figli della convenuta, dovendo prelevarli alla fermata dell’autobus e accompagnare la figlia maggiore in piscina due volte alla settimana, sì da avere diritto al superiore inquadramento nel livello B super del CCNL applicato al rapporto.
Nel merito il ricorso è stato ritenuto infondato perché l’istruttoria realizzata è carente degli elementi probatori a supporto della domanda azionata. Ma vediamo nello specifico.
Inquadramento e mansioni