Sempre più spesso ci si trova a gestire rapporti di lavoro tra società di amministratori i quali, pur governando imprese dislocate nel nostro territorio nazionale, sono di cittadinanza straniera e risiedono costantemente all’estero.
E tali soggetti, percepiscono, per le loro cariche e funzioni, compensi da organismi societari italiani. Ecco quindi scaturire la problematicità della corretta imposizione fiscale e assoggettamento contributivo di tali compensi e l’applicazione delle corrette modalità operative e dei necessari adempimenti.
La residenza fiscale
In base ai principi generali dettati dal Testo Unico D.P.R. n. 917/1986 tutti i redditi sono assoggettati a tassazione, ai fini delle imposte dirette, nel Paese in cui gli stessi sono prodotti, indipendentemente dalla residenza fiscale del soggetto percettore nel medesimo Paese.
Art. 2, comma 1, D.P.R. n. 917/1986
Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato.
Possono sussistere deroghe in tale ambito ma queste sono regolamentate dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni così come ben chiarito sancito nel nostro ordinamento tributario dall’art. 3 del D.P.R. n. 917/1986.
Art. 3, comma 1, D.P.R. n. 917/1986
L’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato.
Pertanto, il presupposto dei criteri di tassazione dei compensi percepiti da un soggetto è la verifica della residenza fiscale nel nostro Paese.
Sempre all’art. 2 del D.P.R. n. 917/1986 al comma 2 definisce fiscalmente residenti in Italia (anche se cittadini stranieri) i soggetti che, per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni all’anno ...