Il reverse charge cd. “esterno”, che ricorre quando il cedente/prestatore è un soggetto IVA non stabilito in Italia, è disciplinato dall’art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972, in base al quale gli obblighi d’imposta relativi alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato da soggetti non residenti devono essere adempiuti, non già dai cedenti/prestatori, previa identificazione ai fini IVA in Italia, bensì dai cessionari/committenti, se soggetti passivi stabiliti in Italia, compresi:
• gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni di cui all’art. 4, comma 4, del D.P.R. n. 633/1972 (es. enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, non aventi per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole), anche quando agiscono al di fuori delle attività commerciali o agricole; gli enti, le associazioni e le altre organizzazioni, non soggetti passivi, identificati ai fini IVA.
Dal medesimo art. 17, comma 2, del D.P.R. n. 633/1972 si desume, inoltre, che il reverse charge si concretizza con l’applicazione:
• della procedura di integrazione e di registrazione già prevista per gli acquisti intracomunitari di beni, se il cedente/prestatore non residente è stabilito in altro Paese membro dell’Unione europea;
• della procedura di autofatturazione, se il cedente/prestatore non residente è stabilito in un Paese non appartenente all’Unione europea.
La procedura di integrazione
Fino al 31 dicembre 2012, l’imposta doveva essere assolta dal cessionario/committente italiano mediante la procedura di integrazione e di registrazione prevista dagli artt. 46 e 47 del D.L. n. 331/1993, limitatamente alle prestazioni di servizi “generiche”, di cui all’art. 7-ter del D.P.R. n. 633/1972, effettuate dal cedente/prestatore di altro Paese UE nei confronti del cessionario/committente, soggetto passivo, stabilito nel territorio ...