La scelta del luogo della attività lavorativa, cioè dello spazio fisico nel quale deve essere eseguita la stessa, compete al datore il quale lo indica al lavoratore in modo che quest’ultimo possa adempiere esattamente la sua prestazione lavorativa.
In sostanza, l’attività lavorativa si può svolgere non solo nella sede dell’impresa, ma anche in un luogo esterno ad essa, luogo che viene indicato al lavoratore dal datore di lavoro, secondo le sue esigenze organizzative e produttive.
Invero, anche se nella maggior parte dei casi, il luogo di lavoro coincide con la sede dell’azienda o con l’unità produttiva a cui è assegnato il lavoratore, non mancano altrettante ipotesi in cui si può collocare altrove, in ambiti territoriali più o meno ampi e può addirittura coincidere con il domicilio del lavoratore, tra cui, per esempio nelle ipotesi di lavoro a domicilio e telelavoro.
Di norma tale indicazione viene indicata nel contratto individuale, secondo i principi generali fissati dall’art. 1182 c.c. ovvero in una comunicazione scritta la cui violazione comporta delle sanzioni amministrative.
Il concetto di luogo di lavoro, tuttavia, non è rinvenibile nel nostro ordinamento in alcuna norma di diritto positivo che abbia una portata generale se non in qualche sporadico richiamo limitato ad alcuni ambiti applicativi.
Alcune definizioni
Invero, il legislatore, per attribuire diritti ed obblighi delle parti contraenti un rapporto di lavoro, ha spesso utilizzato termini diversi, come, ad esempio, posto di lavoro (art. 18, legge n. 300/1970), luogo di lavoro (art. ...