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Esportazioni di beni in conto lavorazione escluse dalla non imponibilità IVA

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Fisco

Esportazioni di beni in conto lavorazione escluse dalla non imponibilità IVA

giovedì, 22 febbraio 2018

Con Ord. 30 novembre 2017, n. 28709, la Cassazione ha stabilito che le esportazioni effettuate in conto lavorazione, se non comportano il trasferimento al terzista estero della titolarità, di fatto e giuridica, dei beni inviati all’estero, non beneficiano del regime di non imponibilità IVA, previsto per le cessioni all’esportazione e, quindi, non concorrono alla formazione del plafond per l’acquisto di beni e servizi senza imposta.

Scritto da: Servidio Salvatore

Il caso oggetto dell’Ord. n. 28709/2017, riguarda un contratto di “conto lavorazione” stipulato tra una ditta residente e alcuni prestatori stabiliti in Paesi extra Ue.

Il trasferimento oltre confine dei beni (calzature e tomaie) in “conto lavorazione” comporta una mera esportazione doganale non rilevante ai fini IVA, in quanto manca il requisito del trasferimento della proprietà.

Nel caso di specie, dai controlli effettuati durante una verifica fiscale era emerso invece che la società residente aveva trattato i trasferimenti delle merci quali vere e proprie cessioni all’esportazione, quindi, come vendite con trasferimento di proprietà, regolandole con emissione di fatture in titolo di non imponibilità IVA ai sensi dell’art. 8 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, con conseguente costituzione del plafond in relazione ai corrispettivi pagati.

L’Agenzia delle entrate, sulla base del contratto posto in essere tra le parti, ha contestato in sede di accertamento la non imponibilità attribuita al trasferimento dei beni in conto lavorazione, con conseguente irregolare utilizzo delle fatture emesse a quel titolo ai fini della costituzione del plafond per l’effettuazione di acquisti in sospensione di imposta.

La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dell’ente impositore, riformando la sentenza di primo grado che aveva valorizzato il ricorso della contribuente, rilevando che a sostegno della pretesa fiscale esisteva prova documentale consistente in due contratti stipulati tra la società contribuente e le aziende estere per la lavorazione di calzature e tomaie, mentre la contribuente non aveva fornito alcuna prova contraria, limitandosi ad affermare di aver annullato verbalmente il contratto stipulato con una delle due ditte estere sostituendolo con un contratto di vendita delle materie prime e riacquisto del prodotto lavorato.

In sede di ricorso per Cassazione la società ha dedotto, per quanto qui di interesse, violazione degli artt. 7 e 8 del D.P.R. n. 633/1972, nonché omessa ed insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in quanto la Commissione regionale ...

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